“Salvini? Un raggio di buon senso non fa tornare la crescita”
Il tavolo e poi? Il capo di Confagricoltura ci spiega perché le imprese non possono accontentarsi della concertazione salviniana
Roma. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha detto che il governo sta recuperando “buonsenso” dopo un confronto domenicale al ministero dell'Interno con il vicepremier Matteo Salvini che ha rassicurato la sua e altre associazioni datoriali (rappresentanti 3 milioni di aziende con 13 milioni di lavoratori) sul potenziale accoglimento delle loro istanze nella manovra in Parlamento. Salvini s’è presentato come un soggetto affabile con dichiarazioni d’intenti su riduzione delle tasse, rinnovo di incentivi per investimenti produttivi e nulla osta alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali. Astuto nel non dare spazio alla imprenditoria del nord, che gli aveva mosso critiche in questi mesi, ha avuto buon gioco nel passare dalle organizzazioni centrali romane e uscirne mediaticamente come il ministro che ha cercato l’appeasement con i ceti produttivi.
Lui mica quello dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio che, in risposta, ha convocato un tavolo per oggi. “Sono oramai sei mesi che questo governo si è insediato, è arrivato il momento in cui più che cercare le colpe degli altri si concentri a trovare soluzioni per il futuro”, ha detto Boccia. Ma in questa storia il punto vero è: in che misura è possibile fare affidamento sul governo gialloverde? Un altro interlocutore presente all’incontro con Salvini come Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, che rappresenta due terzi del settore primario, circa 375 mila imprese associate, ritiene sia stato “importante aprire una fase di dialogo, ma devono seguire i fatti alle promesse” perché la procedura di infrazione per mancato rientro del debito pubblico avrebbe un impatto esiziale per l’agricoltura. “Sono molto fiducioso che la manovra verrà rivista per evitare sanzioni – dice – Abbiamo fatto presente i rischi, come il blocco dei fondi europei, in particolare quelli di coesione territoriale e di sviluppo rurale, che valgono 20 miliardi di euro in cinque anni”.
Un ritiro dei fondi significherebbe che le politiche di investimento delle imprese private, volte a migliorare l’agricoltura europea, anche attraverso lo sviluppo di quella biologica, “si arresterebbero”, avverte Giansanti. Inoltre, ricorda Giansanti, senza riuscire a produrre crescita sarà difficile – “ovvero impossibile per regola matematica” – ridurre il rapporto deficit-pil. “Fare tavoli non produce di per sé crescita né competitività né innovazione”. Confagricoltura si è schierata a favore dell’alta velocità Torino-Lione, la Tav, in quanto opera paradigmatica della necessità di uno sviluppo infrastrutturale non più rimandabile. “Sì Tav vuol dire sì alle infrastrutture. I prodotti italiani non si esportano senza un aumento della competitività. Siamo già penalizzati: abbiamo, causa accise, un costo sul gasolio per autotrasporto superiore del 50 per cento rispetto ai concorrenti europei, una rete viaria arretrata, tasse aeroportuali elevate e una rete portuale agli ultimi posti in Europa per efficienza che spingono i nostri esportatori a passare dai porti olandesi. Bisogna intervenire e non amministrare urgenze o emergenze”.
Nonostante alcune indicazioni positive provenienti dal settore industriale in ottobre con un aumento della produzione lieve (più 0,1 rispetto a settembre, contro previsioni di contrazione), a causa dell’instabilità politica proseguono la frenata di consumi e di investimenti dopo che la crescita del pil si è arrestata nel terzo trimestre. Le prospettive per l’Italia, dice una nota di banca Baclays, sono quelle di un principio di recessione a fine anno. La promessa di buonsenso potrebbe non bastare.