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Tutti i trucchi del governo per vendere la Fontana di Trevi sul lavoro

Giuliano Cazzola

La ditta del padre di Di Maio non è uno “scandalo”, ma il paradigma di cosa avverrà al sud con le sue politiche. Un po’ di numeri messi in ordine

Roma. La vicenda dell’Ardima (la ditta della famiglia Di Maio) dimostra che la tribù grillina, nonostante lo starnazzare in nome dell’onestà, vive non solo “nel mondo’’, ma è anche “del mondo’’; e ne condivide tutte le contraddizioni. E’ corretto, a mio avviso, il modo con cui il Foglio ha affrontato il problema: Luigi Di Maio porta maggiori responsabilità come ministro che non come figlio di suo padre e socio di sua sorella nell’azienda di famiglia ora messa in liquidazione come “frutto della colpa’’. I media – ormai interessati più al gossip che ai fatti reali – si sono buttati a capofitto nella ricerca di quanti fossero i dipendenti in nero o comunque irregolari, negli stessi giorni in cui, nel Parlamento, avvenivano episodi di eccezionale gravità come il rifiuto, imposto da Matteo Salvini, di partecipare alla Conferenza per l’adesione al Global Compact che rappresenta, almeno in prospettiva, un salto di qualità nella gestione del fenomeno migratorio. Parlando all’Assemblea dell’Onu il premier Giuseppe Conte aveva confermato che l’Italia avrebbe aderito. Ma ormai tutti si sono accorti che nei consessi internazionali il nostro paese si fa rappresentare da “prigionieri politici’’ privi di ogni effettivo potere (si pensi che in Argentina, al G20, sono andati Conte e i ministri Moavero Milanesi e Tria).

 

Tornando a Di Maio, ammesso e non concesso che sia cascato dalle nuvole quando ha saputo della condotta di suo padre, in quanto datore di lavoro, quella vicenda – a lui così prossima – dovrebbe fargli comprendere che cosa potrebbe causare, nel Sud ma non solo, l’istituzione del reddito di cittadinanza, sulla base di regole secondo le quali l’erogazione dell’assegno diventa la priorità, mentre tutto il resto (la riforma dei Centri per l’impiego, l’organizzazione dei corsi di formazione e dei lavori socialmente utili, l’avviamento al lavoro, ecc.) è affidato a un ottimismo truffaldino e spensierato della volontà, assolutamente privo del pessimismo dell’intelligenza.

 

Non solo il reddito di cittadinanza potrà convivere ed affiancare attività che si svolgono nel sommerso, ma potrà integrare forme di occupazione apparentemente regolari ma con retribuzioni inferiori alla soglia canonica. L’Anpal ha compiuto un monitoraggio sugli effetti di un contributo finanziario alle aziende della Campania per favorire nuove assunzioni a tempo indeterminato. Poco meno della metà dei casi segnalati risultavano essere – un evidente segnale di manipolazione – rapporti a part time. Peraltro è venuto alla luce il grande imbroglio che sta sotto l’operazione reddito di cittadinanza e alla totale assenza di qualsiasi norma operativa nel disegno di legge di bilancio (come se bastasse la “tradizione orale’’ dei tempi di Omero). Secondo quanto indicato da Di Maio, il parametro per decidere chi avrà diritto a ricevere il reddito di cittadinanza sarà l’Isee: i nove miliardi di euro stanziati dovrebbero essere dunque suddivisi tra i 2,5 milioni di famiglie con Isee inferiore ai 9.360 euro annui (questa è la soglia comunemente indicata). Ebbene, se così fosse il reddito di cittadinanza – secondo uno studio del Sole 24 ore – si tradurrebbe nell’erogazione di 293,95 euro mensili per famiglia. In base agli Isee presentati nel 2016, sono 469 mila le famiglie con Isee uguale a zero. Pertanto, 4,4 miliardi su 9 andrebbero a coprire i 780 euro mensili da erogare a questi nuclei che avranno diritto al contributo pieno. In pratica un quinto dei potenziali aventi diritto assorbirebbe circa la metà degli stanziamenti previsti dalla legge di Bilancio. Per gli altri 2 milioni rimarrebbero 4,6 miliardi di euro: in questo caso l’importo medio mensile scenderebbe per la stragrande maggioranza dei beneficiari a 184,15 euro al mese. Il bello è che i fratelli De Rege e i loro manutengoli cercano di vendere alla Ue (per abbassare il deficit) la stessa Fontana di Trevi che hanno rifilato agli italiani. L’ultima versione del “grande inganno’’ è la seguente: nel disegno di legge di bilancio i nostri sono stati generosi nel assegnare le coperture ai due fondi (pensioni e reddito di cittadinanza), tanto da essere in grado, adesso, di riallocare qualche miliardo agli investimenti senza dover ridimensionare le regole e le platee dei soggetti interessati. Eppure, tutti gli osservatori (l’Upb, l’Inps e persino Alberto Brambilla a cui va riconosciuta significativa onestà intellettuale) sostengono che le risorse stanziate nell’articolo 21 del ddl di Bilancio non assicurerebbero il finanziamento delle misure annunciate se non attraverso l’introduzione di limiti e correttivi.

 

Ci sono poi omissioni e commissioni. Quanto alle prime vi è la questione dei voucher. La loro sostanziale abrogazione per sottrarsi dal referendum della Cgil aveva determinato (per ammissione degli stessi sindacalisti) un maggior ricorso al lavoro nero. Nel contratto gialloverde era previsto il loro ripristino; ma alla fine si è tradotto in un modesto ritocco. Passando alle commissioni, i danni più seri li sta facendo il decreto dignità con la reintroduzione della causale dopo i primi 12 mesi di lavoro a termine. E’ in corso un ricambio dei dipendenti assunti a tempo determinato prima che scadano i 12 mesi. Tanto che i sindacati, per evitare questo turnover, spurio e indotto, si avvalgono del “famigerato’’ articolo 8 voluto da Maurizio Sacconi che consente di derogare anche alle norme di legge mediante la contrattazione collettiva. Il bonus fiscale per le partite Iva (lo scampolo della flat tax) determinerà un interesse convergente del datore e del dipendente a trasformare il rapporto in una collaborazione (con apertura della partita Iva da parte del lavoratore). Aumenterà il lavoro nero degli stranieri in rapporto all’incremento della condizione di clandestinità indotta dal decreto sicurezza (un altro vergogna di questa fase). Quanto alle pensioni, se sarà introdotto un divieto di cumulo tra pensione e reddito per 5 anni, a carico di coloro che sceglieranno quota 100, è assolutamente immaginabile che molti di loro si “sommergeranno’’ anche perché saranno quasi tutti lavoratori maschi residenti al Nord dove il lavoro non manca. Infine, la via d’uscita anticipata determinerà dei problemi anche per quanto riguarda l’offerta di lavoro. Pur ammesso che per ogni neo pensionato le aziende procedano ad una nuova assunzione (un processo che tutti ritengono impraticabile), se i 220 mila dipendenti privati se ne andassero subito in pensione con quota 100, è dubbio che vi sarebbero, in una banale logica di coorti demografiche, dei giovani pronti a prendere i loro posti, che così potrebbero essere coperti solo da altri lavoratori stranieri. Quanto ai pubblici dipendenti – a partire dai quattromila nuovi assunti nei centri per l’impiego – come la mettono con l’obbligo di assumere per concorso?