Pierre Moscovici, Jean Claude Juncker, Giuseppe Conte, Giovanni Tria a Bruxelles (Foto Pixabay)

La manovra cambia a seconda delle circostanze

Luciano Capone

Il governo modifica la legge di bilancio (e saldi) a seconda degli umori, dei sondaggi, dei gilet gialli. Indecisi a tutto, pronti a ogni cosa

Roma. “Non andrò a Bruxelles con un libro dei sogni. Mi presenterò con uno spettro completo del programma riformatore”, ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla Camera. Non sapendo però, ancora, i numeri da presentare oggi a Jean-Claude Juncker, perché quelli sono stati decisi successivamente. “Ormai siamo arrivati, entro la giornata si arriverà a determinare quali sono i possibili saldi e poi ci sarà la decisione politica”, diceva infatti il ministro dell’Economia Giovanni Tria a metà giornata. È questo, da mesi, il metodo di un governo indeciso a tutto, che non doveva piegarsi di fronte a nulla e che invece flette la politica economica in un verso o nell’altro in base a qualsiasi fattore esterno: lo spread, i sondaggi, l’Europa, i gilet gialli. L’esito è del tutto casuale, la direzione viene impressa dalle circostanze. 

 

Lo spread a 300 convince tutti che bisogna ridurre il deficit, i sondaggi che è meglio mantenere le promesse in vista delle europee, la procedura d’infrazione che è opportuno contenere la spesa, la retromarcia di Macron che si può osare con una manovra a debito. La speranza era il contagio finanziario: l’aumento dello spread che trascinava verso l’altro anche il rendimento dei titoli di Spagna, Portogallo e Grecia. Invece è arrivato inaspettatamente quello politico, con la rivolta populista che ha costretto il presidente francese ad aumentare il deficit. Così l’impianto definitivo di una legge di Bilancio rivista di continuo, senza saldi precisi e con i dettagli dei provvedimenti principali (reddito di cittadinanza e quota cento) del tutto ignoti, viene determinato dall’esternalità dei gilet gialli francesi. Macron indietreggia, il governo gialloverde può andare avanti. Almeno fino al prossimo evento, che può essere un aumento dello spread o un qualsiasi choc esterno, perché il governo degli indecisi a tutto ha già predisposto un meccanismo – ovviamente imprecisato – per autocorreggere le misure di spesa ancora ignote nel caso in cui accadessero cose inattese.

 

E lo stesso metodo viene applicato per ogni decisione rilevante. Prendiamo la Tav Torino-Lione. Il M5s, che è sempre stato contrario, e la Lega, che è sempre stata favorevole, si sono trovate d’accordo nel contratto di governo su una formula che lascia la questione indeterminata. Come pensa il governo di risolvere la questione? Da un lato il M5s con Toninelli (come già aveva fatto Di Maio per l’Ilva) nomina una commissione che deve realizzare un’analisi costi-benefici per far decidere ai tecnici. Dall’altro Matteo Salvini, nei panni del grillino, lancia l’idea di un referendum per far decidere il popolo. Due metodi diametralmente opposti – il criterio tecnico della competenza e quello plebiscitario del consenso – che però nascondono lo stesso obiettivo: scaricare il peso della decisione politica sugli altri. Perché l’importante è non assumersi responsabilità.

 

L’altra faccia della medaglia di questo atteggiamento politico-psicologico è il vittimismo, che con la sua logica del capro espiatorio porta a proiettare verso l’esterno l’origine di ogni male (l’Europa matrigna che vuole punirci, gli speculatori finanziari che vogliono rubare i risparmi degli italiani, Soros che promuove la “sostituzione etnica”) per assolvere se stessi da ogni responsabilità e le proprie azioni da ogni conseguenza spiacevole.

 

In questo navigare a vista, senza un orizzonte politico e temporale, accadono anche cose tutto sommato positive. Ad esempio la maggioranza, prima il M5s e adesso anche la Lega, non è più favorevole all’uscita dall’euro. Anche Matteo Salvini, recentemente, ha dichiarato in maniera molto esplicita che non è più favorevole all’uscita dalla moneta unica (anzi, con sprezzo del ridicolo, dice addirittura che non lo era neppure in campagna elettorale). Invece della consueta figura della “gabbia”, della prigione da cui evadere, per descrivere l’Eurozona Salvini ha usato – per il disappunto dei suoi fan no euro – l’immagine del “condominio”. La stessa metafora usata solo un mese fa dall’“eurocrate” Pierre Moscovici. Non è un caso che l’uscita di Salvini sia coincidente con i sondaggi che danno in fortissima crescita il giudizio positivo degli italiani sull’euro e sull’Unione europea. La linea del governo non è pertanto il frutto di un’idea o di un’elaborazione politica, ma è l’esito occasionale di un mix di umori e contingenze.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali