Non sapete come fare sempre la scelta sbagliata? Chiamate Di Maio
Tocca l’Auto e Fca minaccia la fuga. Alitalia? A carico dei contribuenti. Lavoro? Più disoccupati. Stia lontano dai balconi
Roma. I tempi del balcone di Palazzo Chigi sono lontani per Lugi Di Maio: eppure era solo il 27 settembre. Con la manovra del popolo smantellata dalla commissione di Bruxelles per manifesta impraticabilità, al capo politico del M5s non resta che dedicarsi all’arduo lavoro di ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico. Passare dal “peronismo alla marinara” a dossier che si chiamano Alitalia, Fca, Tim, occupazione, Ilva non è però né facile né comodo. Di Maio non solo mostra di non avere una strategia di politica industriale ma prende le distanze dalle sue stesse scelte per tenersi buoni follower ancora fissati con la decrescita (in)felice. Così la sua galleria di errori – e orrori – fa fuggire imprese e investimenti, riduce l’occupazione, aumenta l’onere sui contribuenti ovunque lui riesca a mettere mano.
Partiamo dalla fine, l’annuncio che il Tesoro diverrà azionista di Alitalia con almeno il 30 per cento, compreso l’impegno delle Fs e la conversione del prestito ponte ufficialmente prorogato al 30 giugno 2019: un miliardo che gli italiani salutano forse per sempre. Per fare ripartire la compagnia occorrono non meno di 5 miliardi, due dei quali per cancellare i debiti; il ministro afferma che la quota azionaria sarà per circa due terzi di partner stranieri indicati in EasyJet, Delta e più defilata Lufthansa. Delta non ha la licenza europea e potrà al massimo puntare qualche decina di milioni; inglesi e tedeschi non si impegneranno se non in un’azienda totalmente ristrutturata, cioè con tagli del 30 per cento del personale. Quindi chi investirà? Di Maio promette che tutti i 12 mila dipendenti verranno mantenuti. Dunque gli extra costi resteranno a carico dell’Inps, che si è appena visto imporre la proroga della cassa integrazione per 1.600 con super-scivolo di sette anni. Per finanziarla c’è già un balzello di tre euro sui biglietti (anche di altre compagnie), ora si studia un sussidio nelle bollette elettriche (anche di chi non vola, of course). Poiché le Fs interverranno con il 14-15 per cento e gli stranieri si limiteranno a non più di 600 milioni, il capitale di partenza dell’Alitalia by Di Maio non potrà superare il miliardo. Gli altri quattro resteranno a carico del Tesoro, sotto forma anche di altri collegamenti ferroviari extra con Fiumicino (sui quali l’analisi costi-benefici non interverrà), sussidi alla cassa integrazione, prestiti.
Ma la fucilata più rumorosa è arrivata da Fca, maggiore gruppo privato italiano con 60 mila dipendenti, e indotto da 1.900 imprese e 40 miliardi di fatturato in un settore, l’auto, che di 144 mila imprese e 117 miliardi. Su questa realtà si è abbattuto l’emendamento notturno grillino ispirato da Di Maio: incentivi all’acquisto di auto elettriche e ibride pagati con tasse su diesel e benzina. Dopo le proteste non solo di Fca ma anche dei produttori stranieri (gli sgravi esistono anche all’estero ma non le maggiori tasse) e dei concessionari, Di Maio ha reagito da par suo: “Sono eletto a Pomigliano, figuriamoci se non conosco il mondo dell’auto. Miglioreremo la norma, intanto convochiamo un tavolo”. Tanta conoscenza però non ha fatto breccia alla riunione con produttori, venditori e sindacati di martedì 11, nel suo ufficio di Via Veneto; il giorno dopo Fca ha annunciato il congelamento di 5 miliardi di investimenti nei nove stabilimenti italiani.
Una crisi simile era stata sfiorata con l’Ilva: l’accordo di settembre era in pratica stato predisposto dal suo predecessore Carlo Calenda, ma Di Maio l’ha definito un “delitto perfetto” sventolando un parere dell’Avvocaura dello stato che a suo dire descriveva “illegittima, però non si può dimostrare” la gara vinta da ArcelorMittal. L’idea di fare politica industriale improvvisando emendamenti il vicepremier l’ha esibita anche su Tim per imporre la fusione, sotto controllo pubblico, tra la sua rete e quella di Open Fiber. Risultato: Vivendi, primo azionista di Tim, ha accelerato le operazioni per riprendersi il controllo dell’azienda. Questa la dimaieide come ministro dello Sviluppo. Come titolare del Lavoro ha varato a luglio il decreto dignità per stabilizzare i contratti a termine. Gli ultimi dati Istat dicono che nel terzo trimestre l’occupazione è tornata a scendere dopo tre anni (di 52 mila unità), che calano i contratti a tempo indeterminato (meno 98 mila) e aumentano (di 74 mila) proprio quelli a termine. Se Di Maio torna sul balcone, attenti che non scavalchi la ringhiera, visto che fa sempre la scelta sbagliata.