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Valide lezioni a banchieri e sovranisti dalla Bce in Carige

Alberto Brambilla

Così Francoforte ha tolto un problema a un governo “nemico delle banche” ed euro-contrario. Parla Bini Smaghi

Roma. Ci sono segnali validi da cogliere sia per i banchieri italiani sia per il governo Lega-M5s, euroscettico e allergico alle ingerenze europee nelle questioni nazionali, dall’intervento della Banca centrale europea che mercoledì ha commissariato Banca Carige. “In un certo senso l’intervento della Bce potrebbe aiutare il governo perché spinge a trovare una soluzione che non coinvolga lo stato”, dice al Foglio Lorenzo Bini Smaghi che all’Eurotower è stato membro del comitato direttivo fino al 2012 e ora è presidente della più globale delle banche francesi, il gruppo Société générale. “E poi – dice –, siccome la finalità dell’intervento della Bce è procedere a una aggregazione di Carige con un altro istituto, dimostra che le banche, italiane in particolare, non possono resistere in un sistema molto frammentato, ovvero con molti attori di piccole dimensioni, ma devono unirsi per avere possibilità di recuperare redditività. E se non lo decidono gli azionisti sono le autorità di vigilanza a farlo”. Il caso di Carige è un caso curioso, come nota il Financial Times.

 

È un caso curioso perché per la prima volta la Vigilanza bancaria della Bce ha posto in amministrazione straordinaria una banca del sistema, con la genovese Carige. La decisione è arrivata dopo che, il 22 dicembre, l’assemblea degli azionisti non ha avallato un aumento di capitale da 400 milioni di euro visto che il primo socio, Malacalza Investimenti di Vittorio Malacalza, si è astenuto dall’aderire e ha consegnato, indirettamente, un attestato di sfiducia verso l’ad Fabio Innocenzi e il presidente Pietro Modiano che lui stesso aveva scelto per tentare il rilancio della banca nella quale, dal 2015, aveva investito 423 milioni perdendone la gran parte: solo nell’ultimo anno Carige ha perso in Borsa l’80 per cento del valore arrivando a scambiare a 1,3 millesimi di euro.

 

L’intervento della Bce è preventivo e ha come obiettivo quello di permettere alla banca di continuare a operare – pur con azioni e obbligazioni sospese dalle contrattazioni – e di monitorare da vicino la situazione affinché i commissari (gli ex vertici Modiano e Innocenzi, più Raffaele Lener, un professore dell’Università Luiss) possano proseguire il piano di risanamento. E – questo è quello che interessa a Francoforte – recuperare livelli di patrimonializzazione in linea con gli standard della vigilanza. In prima battuta verrà cercata la possibilità di procedere nuovamente a un aumento. In una nota serale ieri Malacalza Investimenti (titolari del 27,7 per cento delle azioni), con un nuovo cambio di umore da parte della famiglia, dice che non c’è una “pregiudiziale contraria” all’aumento se il piano industriale proposto dai commissari avrà parere favorevole della Bce.

 

Tuttavia è la ricerca di un partner uno dei punti di approdo per Carige che interessa a Francoforte su cui sta lavorando come advisor Ubs (ex banca di Innocenzi). “Era qualcosa che però doveva succedere prima perché è chiaro che il modello di business ‘stand alone’ non era sostenibile e c’era bisogno di un partner”. Un segnale più ampio per i banchieri e gli azionisti. “In quasi tutti i paesi europei il sistema bancario non è più frammentato, ed è un problema che gli azionisti si devono porre per tempo. Altrove si sono creati quattro o cinque grandi banche al massimo per paese, per essere in grado di soddisfare livelli minimi di redditività. Un sistema così frammentato come quello italiano c’è solo in Germania dove anche lì la crisi è evidente. "Il motivo – dice Bini Smaghi – è che in una aggregazione si riducono gli incarichi societari, ed è lì che nascono le resistenze. Ma ritardare va a scapito dei soci di lungo periodo perché un istituto troppo piccolo, che non ha una fabbrica di prodotti finanziari ma è solo distributore di servizi, diventa gradualmente più fragile. Se le aggregazioni non avvengono con operazioni di mercato, sarà la Bce a farle. Questa è la lezione da trarre”.

 

In passato l’offerta di un fondo americano, Apollo, che si era proposto di fare una ampia pulizia dei bilanci dai crediti deteriorati – tuttora incompleta, il livello di crediti cattivi sul totale degli impieghi è al 13 per cento, superiore alla media nazionale –, venne respinta ma adesso il problema di cercare un fondo o una banca partner si ripropone in una condizione emergenziale. A novembre il Fondo interbancario di tutela dei depositi, partecipato dalle banche sul territorio nazionale, ha prestato 320 milioni a Carige. All’epoca il rischio di una liquidazione dell’istituto ligure sarebbe stato concreto, scrive Reuters, al punto che il Fondo si sarebbe, in caso, trovato a pagare un costo complessivo pari a 9,4 miliardi di euro per proteggere i depositi sotto i 100 mila euro, e a quel punto è intervenuto. Ora i commissari, la Bce e il Fondo stanno ridiscutendo i termini del prestito che ha un tasso elevato fino al 16 per cento. La banca genovese, dunque, è stata sostanzialmente soccorsa dalle banche sane per evitare che la crisi si allargasse anche a loro.

 

È successo perché non era riuscita a chiedere soldi al mercato perché all’epoca l’aumento dello spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi rendeva difficile per le banche chiedere soldi a investitori privati, stante l’aumento dei costi di finanziamento, questo per via di un atteggiamento investitor-repellente del governo Lega-M5s. “È il progetto iniziale della legge di Bilancio che ha fatto prendere paura a tutti gli investitori, per primi quelli sull’obbligazionario sovrano e a seguito tutto il resto”, dice Bini Smaghi. Ancora ieri, dopo l’intervento su Carige, lo spread è arrivato a 265 punti, in concomitanza con la fine del programma Quantitative easing della Bce. “Vediamo – dice Bini Smaghi – che le banche non sono più in grado di emettere titoli obbligazionari dopo lo choc-spread. Il risultato è che le banche iniziano a restringere l’erogazione di credito all’economia reale, ossia a famiglie e imprese.

 

Stiamo entrando in una fase di credit-crunch che si accentuerà nei prossimi mesi, anche per effetto del rallentamento internazionale e della tassazione aggiuntiva imposta sul sistema bancario con la prossima finanziaria. Le banche sono un capro espiatorio ma sono anche quelle che danno credito, se le si martella non si può poi chiedere al sistema di finanziare l’economia che è già in difficoltà”. A parte recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, (“massima attenzione”) e del vicepremier, Luigi Di Maio, (“fiduciosi in una soluzione”), il governo si è disinteressato a Carige dal momento che è un problema che la Bce può risolvere. “L’intervento della Bce potrebbe per certi versi aiutare il governo perché obbliga i commissari a trovare un acquirente senza che lo stato debba usare soldi pubblici”.

 

Caso paradigmatico è quello di Mps che ha ricevuto un prestito pubblico (i Monti bond) che poi ha rimborsato con sacrificio per gli azionisti e infine è stato soccorso, nel 2017, dallo stato che tuttora è azionista di maggioranza. “Sarebbe stato peggio replicare quella trafila: il governo precedente aspettò troppo prima di procedere alla nazionalizzazione. Nel caso di Carige, la Bce cerca innanzitutto di trovare una soluzione di mercato, chiedendo ai commissari di cercare un partner. Il governo dovrebbe ringraziare la Bce perché una soluzione simile a quella seguita nel caso di Mps sarebbe scomoda per qualsiasi esecutivo: sarebbe spiacevole a livello di comunicazione dovere giustificare l’uso dei soldi dei contribuenti per salvare una banca. Avere un poliziotto cattivo come la Bce può essere utile per fare il lavoro sporco. Abbiamo uno stato che si occupa sempre di tutto, e se questo non sarà il caso, sarà soprattutto grazie a una vigilanza autonoma e indipendente”, conclude Bini Smaghi. Chissà se la lezione sarà colta.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.