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Il reddito di cittadinanza cambia, le sue storture restano

Valerio Valentini

“Ambiguo e impraticabile. Oltre al sussidio, poco o niente”. La sociologa del lavoro Chiara Saraceno analizza la bozza fatta circolare dal governo

Roma. Alla fine, l’unica cosa certa rimarrà l’erogazione del sussidio. “Il che non è di per sé un male, io ho non ho nulla contro l’assistenza ai più deboli. Il problema, però, è che se oltre al versamento mensile non c’è nulla, dall’assistenza si passa all’assistenzialismo, e questo non va più bene”. Sociologa del lavoro, studiosa ormai da mezzo secolo dei problemi connessi alla povertà, Chiara Saraceno mostra una certa delusione, nel leggere la bozza del decreto sul reddito di cittadinanza che in settimana, stando ai proclami di Luigi Di Maio, dovrebbe essere approvato dal consiglio dei ministri. E pure l’ironia che mostra si corrompe subito in amarezza: “Gli unici che avranno davvero la certezza di trovare un posto di lavoro sicuro, grazie a questo ambiguo provvedimento, saranno i quattromila navigator, queste strane figure professionali per le quali si è adottato un nome che solo un pazzo o un ignorante poteva scegliere”.

   

A suggerirlo al leader del M5s è stato in effetti dal prof. Mimmo Parisi, che non è né pazzo né ignorante ma ha importato questa e altre novità dal Mississippi, e che anche così si è guadagnato la presidenza dell’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive. “Ma si può sapere quali competenze devono avere, questi navigator?”. Andrà stabilito, visto che nella bozza non c’è alcuna indicazione, al riguardo. E poi andranno ripartite le risorse tra le varie regioni, ché da loro dipendono i centri per l’impiego. “E poi si dovrà preparare un bando, e attendere i tempi tecnici, e svolgere un concorso, e formalizzare le assunzioni”. Sempre che nel frattempo venga definita la deroga per le regioni; sempre che poi i centri per l’impiego trovino spazio fisico e dotazioni per questo nuovo esercito di navigator. “Un iter lungo e complicatissimo”.

   

Ma ad aprile, costi quel che costi, si deve partire. “E’ evidente che l’unica cosa tangibile sarà il sussidio”. E il resto? “Il resto, da quello che si legge, è un percorso farraginoso e iperburocraticizzato. Impraticabile. Il rischio è quello di nutrire l’ennesima illusione, e tutto ciò perché si è scelto di tenere insieme due problemi che andavano invece affrontati in modo distinto”. Si è scelto, cioè, di promuovere da un lato un “Patto per il lavoro”, per i soggetti per i quali è ipotizzabile un reinserimento nel mondo del lavoro, e dall’altro un “Patto per l’inclusione sociale”, per tutte quelle persone che non sono occupabili e hanno invece bisogno di una assistenza più specifica: “Ma le politiche attive e il contrasto alla povertà – spiega la Saraceno – non sono la stessa cosa. Si è scritta una bozza che investe entrambi i fronti, e che è su entrambi alquanto velleitaria”. Di idee nuove, di progetti innovativi, la Saraceno non ne rintraccia, tra le righe del decreto. Il patto per l’inclusione sociale, ad esempio, non è altro che la prosecuzione del ReI sotto altra “denominazione”, come esplicitamente si ammette al comma 13 dell’articolo 4. “Si allarga la platea dei beneficiari, ma non si aumentano le risorse agli enti locali: ben venga l’aiuto ai disagiati, ma non c’è alcuna misura per affrancare queste persone dal loro disagio”.

  

E le politiche attive? “Ai beneficiari vengono richiesti degli oneri puramente formali, come quello di sostenere ‘colloqui psicoattitudinali’, corsi di ‘auto-imprenditorialità’, o come quello di ‘consultare quotidianamente l’apposita piattaforma digitale’ per la ricerca del lavoro”. Fuffa? “Fuffa, certo. Non mi pare si trovi così, un lavoro. E del resto, se mai funzionerà, questo reddito, funzionerà non certo per ‘gli ultimi’, di cui pure tanto si riempiono la bocca nel governo, ma soltanto per quelli con un piede già dentro il mercato del lavoro”. E non a caso i centri per l’impiego sono obbligati, si legge, a trattare con priorità i casi di persone disoccupate “da non più di due anni”, di “età inferiore a 26 anni”, di essere beneficiari già inseriti in percorsi di ammortizzazione sociale o di reinserimento nel mercato del lavoro. “E anche gli sgravi alle imprese che assumono sono più consistenti per coloro che sono immediatamente occupabili”, osserva la Saraceno. Quanto alle offerte di lavoro, “ci sarebbe da indignarsi per il fatto che impongono formalmente una mobilità su tutto il territorio nazionale, loro che hanno urlato contro le presunte ‘deportazioni’ della Buona Scuola, che pure riguardavano persone a cui si garantiva un posto fisso e duraturo”. Se non fosse che l’obbligo di spostarsi – alla terza ipotetica offerta di lavoro, dopo oltre 18 mesi di sussidio – si può aggirare facilmente, specie per chi ha in famiglia un minore o un disabile, e cioè per oltre il 60 per cento dei beneficiari. “E se non fosse, soprattutto, che di offerta di lavoro ce n’è pochissima, specie in alcune zone del paese, e questo provvedimento non fa nulla per rilanciarla”.

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