Il dieselgate spingerà Fca verso l'auto elettrica?
La casa torinese si prepara a pagare 800 milioni di dollari per risarcire 100 mila clienti americani. Secondo gli analisti il caso non è assimilabile a quello della Volkswagen, ma il management sarà spinto a fare scelte in tema di sostenibilità ambientale
Milano. Nel 2018 Volkswagen ha messo in atto un piano per aumentare la produzione di auto elettriche in Germania. Non è un caso che dopo lo scoppio del Dieselgate del 2017, la casa automobilistica tedesca, che non ha subito gravi contraccolpi su fatturato e profitti ma sull'immagine sì, abbia deciso un cambio di strategia puntando sullʼalimentazione elettrica. Farà la stessa cosa anche Fca, che dovrà pagare circa 800 milioni di dollari negli Stati Uniti per chiudere le vertenze legali con il Dipartimento di giustizia e i possessori di auto che l'accusano di aver installato un software per consentire a oltre 100 mila veicoli diesel emissioni oltre i limiti? Certo, il caso non ha nulla a che vedere con la multa di 26 miliardi di dollari pagata a suo tempo da Volkswagen negli States, a cui si aggiunsero le sanzioni europee, per aver “truccato” 11 milioni di auto, ma la crisi reputazionale che Fca rischia, potrebbe essere analoga a quella che a suo tempo coinvolse la concorrente tedesca. Secondo le accuse, infatti, il gruppo italiano avrebbe violato le leggi sulle emissioni Usa per le Ram e le Grand Cherokee vendute tra il 2014 e il 2016. Stando a quanto riportato dall'agenzia AP, all'azienda verrà chiesto di versare 311 milioni di dollari al governo federale e alla California. Altri 280 milioni andranno ai proprietari di auto sotto forma di rimborso. Aggiuntivi 72 milioni saranno pagati per archiviare il caso in altri Stati.
Dal punto di vista puramente finanziario, Fca non si fa trovare impreparata perché avrebbe già accantonato 713 milioni di euro, pari a 815 milioni di dollari, per coprire eventuali spese legate alla vicenda. Ma dal punto di vista strategico, come inciderà il dieselgate sui programmi futuri visto che quello della sostenibilità ambientale è ormai un parametro decisivo nelle scelte di investimento degli operatori di mercato? Secondo Gabriele Gambarova, analista di Banca Akros, non si può mettere sullo stesso piano l'incidente in cui è incorsa Fca con quello di Volkswagen. E questo sia per una valutazione di carattere quantitativo – come detto, si tratta di volumi completamente diversi – sia su quello qualitativo, poiché quando la casa torinese ha deciso di vendere veicoli con motore diesel negli Stati Uniti lo ha fatto utilizzando la tecnologia più efficace esistente – seppure l'accorgimento non sia stato sufficiente per quel tipo di mercato particolarmente restrittivo – e non ha deliberatamente mentito sulle emissioni. Detto questo, Gambarova non esclude che anche in virtù di questo evento Fca abbia deciso di accelerare sulla produzione di auto elettriche soprattutto per allinearsi ai nuovi standard sulle emissioni di monossido di carbonio previsti dalle direttive europee entro il 2030.
“Quello dell'auto elettrica è un tema che in Fca aveva affrontato anche Sergio Marchionne preferendo prendere tempo in previsione di un'eventuale operazione di aggregazione – spiega Gambarova – Marchionne ha sempre ritenuto che quello che Fca potrebbe portare in dote in un merger con un altro grande gruppo è la qualità dei suoi marchi più che la sperimentazione in un segmento che, per ora, non assicura profitti ai produttori. E' vero anche che l'attuale management si trova in un guado e dovrà fare una scelta chiara in questo senso”. Gambarova ricorda anche che l'altro tema sensibile è rappresentato dalle tariffe commerciali. “Non credo che alla fine Trump manterrà la minaccia di un incremento al 25 per cento dei dazi sugli autoveicoli importati dall'Europa. Ma se così dovesse essere, sarebbe un ulteriore ostacolo per consolidare i due brand Maserati e Alfa in America”.