Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria (Foto Imagoeconomica)

Il governo ha promesso all'Europa le privatizzazioni, ma fa l'opposto

Luciano Capone

I gialloverdi pensano alle nazionalizzazioni, ma senza 18 miliardi di entrate non rispetteranno gli impegni sul debito

Roma. Il compromesso raggiunto tra Roma e Bruxelles sulla legge di Bilancio ha sancito una tregua. Ma dei conti pubblici italiani se ne tornerà a parlare, probabilmente già nei prossimi vertici Eurogruppo/Ecofin del 21 e 22 gennaio. Uno degli aspetti più rilevanti della legge di Stabilità, di cui i leader politici non parlano mai e su cui il Tesoro non ha ancora messo bene la testa, è il capitolo privatizzazioni. È una voce molto importante perché, secondo il Documento programmatico di bilancio aggiornato, se il debito pubblico scenderà dal 131,7 per cento del 2018 al 130,7 per cento del 2019 sarà integralmente dovuto alle privatizzazioni: il governo ha messo a bilancio nel Fondo di ammortamento del debito pubblico vendite pari all’1 per cento del pil (18 miliardi).

 

Il problema è che non esiste un piano. Nell’aggiornamento del quadro macroeconomico c’è solo una voce specifica: un piano straordinario di dismissioni immobiliari pari a 950 milioni (lo 0,05 per cento del pil). E’ una cifra raggiungibile, in linea con gli anni precedenti, anche se molti immobili da vendere sono di proprietà di enti pubblici diversi dall’amministrazione centrale e bisogna mettere in campo delle procedure per adottarli.

 

Ma gli altri 17 miliardi? Il restante 0,95 di pil per far scendere il debito come verrà ricavato? Senza queste entrate ci sarà bisogno di maggiori emissioni di debito sul mercato e quindi anche di una maggiore spesa per interessi. Senza privatizzazioni il debito pubblico non scende, anzi rischia di salire, e l’Italia è stata a un passo dalla procedura d’infrazione, evitata in extremis, proprio per la violazione della regola del debito. Nel governo nessuno sembra interessato alla questione, anzi tutti gli sforzi riguardano progetti di nazionalizzazione.  

 

Luigi Di Maio, intervistato dal Fatto quotidiano, ha dichiarato orgoglioso: “Quella di Carige non è un salvataggio, è una nazionalizzazione”, dando per già fatta una ricapitalizzazione precauzionale che al momento dovrebbe essere solo ipotetica. Ma Di Maio non solo ha dato per fatta la nazionalizzazione, ha anche dichiarato che Carige non ritornerà sul mercato: “Di certo non la ripuliremo per venderla”. Allo stesso modo la pensa Matteo Salvini: “Il nostro obiettivo è quello di riportare Carige sotto il controllo dello stato”.

 

Questa posizione getta un’ombra anche sul Monte dei Paschi di Siena, che il governo Gentiloni ha salvato con un decreto poi fotocopiato dal governo Conte per Carige. Infatti il piano di ristrutturazione concordato con la Commissione europea che ha permesso l’intervento nel capitale della banca (ora controllata al 68 per cento dal Tesoro) prevede il ritorno di Mps sul mercato entro il 2021. Un obiettivo definito dallo stesso ministro Tria “non in discussione”, ma che deve essere preparato già in questi mesi attraverso la presentazione alla Commissione europea, entro il 2019, di un piano d’uscita dal capitale della banca. Ripulirla per venderla, l’esatto opposto di quanto detto da Di Maio per Carige. Nel programma di governo, alla voce “Monte dei Paschi”, Salvini e Di Maio scrivono che “lo stato azionista deve provvedere alla ridefinizione della mission e degli obiettivi dell’istituto di credito in un’ottica di servizio”, che non si capisce bene cosa significhi, ma non sembra un modo per dire “privatizzazione”.

 

Da dove arriveranno quindi questi altri 17 miliardi di privatizzazioni? Una volta constatato che dalla vendita degli immobili si può ricavare un miliardo, massimo due, gli occhi si rivolgeranno alle dismissioni mobiliari. Ma quali partecipazioni possono essere cedute? Su questo punto Di Maio è stato chiaro: “Non venderemo i gioielli di famiglia”. Quindi niente Eni, Enav, Enel, Leonardo. Ma cosa allora? Si può pensare alla cessione di alcune quote senza perdere il controllo delle società, vale per Poste, oppure fare nuove quotazioni, ad esempio Trenitalia. Ma al momento il governo si muove in direzione opposta, vuole utilizzare queste società statali per mantenere il controllo pubblico o nazionalizzare: si era parlato di un ingresso di Poste in Mps ed è in campo l’acquisizione di Alitalia da parte di Ferrovie. Al netto di qualche trucco contabile per ingannare Eurostat utilizzando Cdp (ma senza esagerare) non c’è altro.

 

Il governo ha utilizzato l’escamotage di 18 miliardi di privatizzazioni in un anno per far vedere a Bruxelles che il debito pubblico è su un sentiero discendente, acquistando così un po’ di tempo. Ma l’anno è già iniziato e presto ci toccherà scoprire le carte. Cosa mostreremo, un piano di nazionalizzazioni?

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali