La sentenza Foodora non fa dignità
Accolto in parte il ricorso di cinque ex fattorini della piattaforma tedesca. Ma i giudici di appello respingono la richiesta più importante: il reintegro e l’assunzione
Roma. La sentenza con la quale la Corte d’appello di Torino ha in parte accolto il ricorso di cinque ex fattorini di Foodora, la piattaforma di consegna a domicilio controllata dal gruppo tedesco Delivery Hero, non ha nulla a che fare con il decreto dignità – primo atto l’estate scorsa di Luigi Di Maio come ministro del Lavoro, scaturito proprio dalle vertenze dei riders – né tantomeno “scardina il Jobs Act”, intento del vicepremier del M5s.
Ribaltando la sentenza di primo grado che aveva respinto tutte le richieste, i magistrati, infatti, riconoscono il diritto per i rider ad avere una retribuzione calcolata sulla base del quinto livello del contratto nazionale della logistica che già molte aziende di consegna si erano dette disposte ad adottare, e per chi perde il lavoro (come i ricorrenti) a ottenere arretrati e liquidazione, dedotte le cifre già percepite.
Viene inoltre riconosciuto il diritto a turni di riposo e ferie, sempre in base al contratto della logistica e parametrati all’anzianità e ai periodi di lavoro. Ma i giudici di appello respingono la richiesta più importante: il reintegro e l’assunzione, che avrebbe sì scardinato il Jobs Act. Retribuire e trattare gli addetti ai “lavoretti” su piattaforme digitali, i gig, secondo legge ed equità è sacrosanto.
Imporre per via giudiziaria, o con un decreto stile Di Maio, il ritorno al mercato del lavoro preesistente al Jobs Act, cioè al più rigido del mondo e più ostile all’occupazione, specie dei giovani, è tutt’altra cosa. L’articolo 18 vecchia maniera tutelava i diritti di chi aveva già un posto fisso a discapito di quanti un lavoro lo cercavano: il decreto dignità (come prima l’abolizione dei voucher) ha già fallito su questo punto poiché la disoccupazione giovanile non è diminuita e i contratti a termine che non si sono trasformati in posti fissi. Invece molte aziende se ne sono andate dall’Italia: tra queste proprio Foodora.