Il pasticcio leghista di Cir e nuovi Pir è strabico dirigismo finanziario
Il governo rischia di paralizzare una parte dell'industria del risparmio gestito. Ecco cosa dicono gli operatori di mercato
Milano. Non si può certo dire che il governo gialloverde abbia le idee chiare a proposito di politiche per promuovere (e proteggere) il risparmio degli italiani, un tema che ricorre spesso nei discorsi di Lega e M5s, ma che nei fatti viene trattato almeno con approssimazione come dimostra il gran pasticcio dei Cir-Pir. Sembra un gioco di parole, in realtà, come sintetizza Michele Boldrin, economista della Washington University di Saint Louis, riflette l’approccio dell’esecutivo al tema degli investimenti privati, a cui sembra pensare o come strumento per risolvere problemi di finanza pubblica oppure per stimolare il settore industriale, cosa che, evidentemente, non riesce a fare in altro modo. Così quel tesoro di 5-6 mila miliardi che è la ricchezza privata delle famiglie diventa una sorta di riserva aurea buona per ogni stagione, in barba alla strategia nazionale di educazione finanziaria che pure l'Italia ha adottato due anni fa, ultimo tra i paesi occidentali. “Quello di indirizzare il risparmio di una nazione è un tipico approccio dirigista-statalista. Purtroppo, in Italia questa è una cultura diffusa, sia nella destra che nella sinistra. In questo caso mi pare sia utile al governo per recuperare consensi nel mondo delle imprese”, dice Boldrin.
Ma vediamo come si è arrivati al pasticcio e perché il governo sta rischiando di paralizzare una parte dell'industria del risparmio gestito. Dopo la scorsa estate, nel pieno della bufera sui mercati con lo spread alle stelle, il consigliere di Matteo Salvini, Armando Siri, aveva suggerito di far acquistare il debito pubblico alle famiglie italiane in cambio di un beneficio fiscale. Siri era stato talmente prodigo di dettagli nelle innumerevoli interviste rilasciate sulla proposta di legge relativa ai Cir (Conti individuali di risparmio), da farla sembrare cosa fatta. Qualcosa, però, dev'essere andato storto e di Cir non si è più sentito parlare (alcuni dicono che la colpa sia stata del flop del Btp Italia di novembre, altri di alcuni banchieri consultati che avrebbero espresso perplessità di fronte all’idea scaricare sui cittadini il rischio Italia vincolando i titoli per cinque anni) mentre proprio sul campo del risparmio Siri si è fatto scavalcare dal collega leghista Giulio Centemero. Quest’ultimo poco prima di Natale ha fatto rapidamente approvare dalla commissione Bilancio della Camera un emendamento che modifica la legge sui Piani individuali di risparmio (Pir) varata dal governo Gentiloni due anni fa e l’ha poi infilata nella legge di Bilancio di fine anno. La novità consiste nel fatto che i fondi che investono in Pir hanno l’obbligo di investire una quota pari complessivamente al 6-7 per cento sulle piccole imprese quotate sull’Aim, listino non regolamentato di Piazza Affari, e sulle start up tecnologiche.
Secondo le testimonianze di diversi operatori di mercato, questa modifica può essere scivolosa. Primo: perché cambia il profilo di rischio di un prodotto finanziario destinato soprattutto alle famiglie. Secondo: perché la norma è retroattiva e questo implica che coinvolga l’intera somma raccolta dai gestori con i Pir da quando sono nati, cioè 19 miliardi di euro. Il risultato è il caos perché in assenza dei decreti attuativi all’emendamento e in presenza di una norma retroattiva, i Pir si sono praticamente bloccati. Assogestioni, l’associazione che raggruppa i gestori dei fondi d'investimento, teme che venga affondato uno strumento percepito come un’innovazione in Italia seppure non manchi chi, come Moneyfarm, un gruppo di investimenti, abbia fatto notare come i Pir registrino perdite che oscillano da un minimo del 6 per cento a un massimo di oltre il 25 per cento. Ma la domanda è proprio questa: è giusto trasformare gli italiani, loro malgrado, in un popolo di “venture capitalist” quando, come è ormai noto, hanno grosse lacune in termini di cultura finanziaria? “I governi dovrebbero limitarsi alle politiche fiscali e a garantire trasparenza nella vendita e distribuzione di prodotti finanziari, non dovrebbero dire alle persone su che cosa e come investire. Dovrebbe essere compito della Consob fare emergere questa contraddizione. Ma purtroppo, da come si stanno mettendo le cose in Italia, temo che non lo farà”, conclude Boldrin.