Da Siena a Genova una nazionalizzazione della banche non è la soluzione

Renzo Rosati

La Bce invia una nota a Mps e le smanie stataliste gialloverdi subiscono un duro atterraggio nella realtà

Roma. “Non c’è nessun problema con il settore bancario nel suo complesso, ma alcuni problemi specifici con uno a due istituto medio-piccoli. Problemi che a volte diventano più grandi perché lo stato non può intervenire”. Lo ha detto ieri il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Parole che, collegate al crollo in Borsa di Montepaschi, ridimensionano l’idea che fare il copia-incolla del decreto salva-banche del governo Gentiloni fosse una soluzione geniale per rilanciare con una mano la propaganda sul risparmio tradito, e con l’altra per annunciare il ritorno allo stato padrone del credito. A Genova con Carige, a Siena con Mps e magari domani a Bari con la popolare locale in piena sofferenza.

 

Benché l’intervento nella cassa genovese si limiti per ora alla garanzia del Tesoro sulle obbligazioni senior (le subordinate sono state tutte ritirate), e la nazionalizzazione sia considerata dalla Banca d’Italia, dalla Bce e dagli stessi vertici di Carige un’eventualità precauzionale in attesa del ritorno al mercato, Luigi Di Maio si era affrettato ad annunciare che “Carige sarà pubblica, anzi diventerà banca d’investimento dello stato acquistando anche titoli del Tesoro”. Tesi cara anche a parte della Lega. Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera, già candidato a Siena, sostiene che Mps, dove il Tesoro ha il 68 per cento e l’impegno ad uscire entro diciotto mesi, debba rimanere stabilmente pubblica.

 

Le smanie stataliste gialloverdi hanno però subìto un duro atterraggio nella realtà. Mps non è riuscita a fare prezzo in apertura crollando poi nella seduta Borsa. Motivo, l’arrivo dalla Banca centrale europea di una nota che conferma i requisiti patrimoniali in rapporto agli asset (Supervisory review and evaluation process, Srep) dell’11 per cento, e in più la richiesta di coprire integralmente con il patrimonio, entro sette anni, i crediti deteriorati (Npl). Questo a una prima lettura dovrebbe riguardare non solo i nuovi crediti ma anche lo stock preesistente. Gli analisti si chiedono se toccherà solo Mps, anche le altre banche italiane che così dovrebbero ricapitalizzarsi per 20 miliardi, o infine (ipotesi prevalente) se la Bce abbia lanciato un avvertimento alla politica italiana appunto per le interpretazioni allegre date all’accordo sulla Carige tra Francoforte, Banca d’Italia e Tesoro. Un modo per dire: non vi allargate con le nazionalizzazioni.

 

Giancarlo Giorgetti, sottosegretario a Palazzo Chigi, considerato esponente dell’ala pragmatica della Lega e distante dal populismo a Cinque stelle, colto da premonizione nel weekend ha dichiarato: “Abbiamo un problema Carige. Nelle prossime settimane avremo anche un problema Montepaschi? Forse sì. Entro due o tre mesi saremo chiamati a delle scelte. Le anticipazioni dall’Europa mettono in dubbio la capacità di rispettare i programmi”. Parole sibilline che però confermano una cosa: nazionalizzare non è la soluzione; neppure per i nazionalizzatori.

 

I tre casi sul tavolo, Siena, Genova e Bari, sono molto diversi, ma hanno in comune di riguardare territori strategici per Lega e M5s. E per questo la maggioranza era pronta ad aprire il portafoglio dei contribuenti. Mps, dopo la ripresa del titolo successiva alla trasformazione in quote del Tesoro dei prestiti pubblici, ha perso il 66 per cento del capitale, quasi il doppio del già tartassato settore bancario. Gli attacchi della Lega all’ad Marco Morelli, che dovrebbe guidare il ritorno ai privati, hanno dato una mano. Ora le nuove disposizioni della Bce, con l’obbligo di continue ricapitalizzazioni per tenere dietro allo stock di Npl, oltre a far fuggire eventuali investitori, costringerebbero il Tesoro a svenarsi o svendere i crediti. In Carige i capitali privati non mancherebbero, il Tesoro in accordo con la Bce deve solo favorire la pace tra azionisti, in attesa di un partner forte italiano o straniero, e poi ritirarsi. Quanto a Bari, la situazione è paradossale per la maggioranza gialloverde: circa 70 mila piccoli azionisti accusano banca e governo di non avere dato seguito alla quotazione in borsa dell’istituto prevista dalla riforma del governo Renzi. I titoli trattati – ma di fatto non vendibili – sulla piattaforma hi-mtf, il cosiddetto mercato grigio, sono scesi da 9,53 euro a 2,2: a dicembre 2018 il governo ha rinviato la quotazione di un anno, mentre l’ad Vincenzo De Bustis promette 300 milioni di ricapitalizzazione di cui 200 attraverso un bond subordinato. Con la Puglia già in rivolta su tutti i fronti di risparmio tradito non parla più nessuno. Anche perché i traditori andrebbero rintracciati a Palazzo Chigi.

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