Luigi Di Maio incotra i lavoratori dei Cantieri navali (foto LaPresse)

Il nord tradito

Marco Fortis

È l’industria settentrionale a soffrire di più le giravolte gialloverdi e l’aria di recessione

Il nord Italia alle ultime elezioni politiche ha sostanzialmente “tradito” i governi che lo hanno riportato alla crescita, cioè gli esecutivi Renzi e Gentiloni, che hanno tagliato molto le tasse alle imprese e alle famiglie, incentivando massicciamente gli investimenti e le assunzioni. E oggi, per una sorta di contrappasso, il nord è a sua volta clamorosamente “tradito” dal partito a cui ha dato più voti, cioè la Lega, che si è alleata con il Movimento Cinque Stelle il quale punta alla decrescita “felice”, ad abolire le riforme sul lavoro e al blocco delle opere infrastrutturali. Esattamente il contrario di cui ha bisogno il nord, che, complice anche il rallentamento dell’Europa, sembra avviarsi nel 2019 verso un anno di vacche estremamente magre.

   

In effetti, non era mai capitato negli ultimi 5 trienni che l’economia del nord Italia crescesse con tanta intensità come nel 2015-17, periodo in cui hanno trovato piena applicazione tutte le misure per i redditi, la fiscalità, il lavoro e gli investimenti varate dal governo Renzi e poi sostanzialmente applicate in continuità dal governo Gentiloni. Nel triennio 2015-17, su cui i recenti dati territoriali Istat gettano una luce quasi nostalgica, il tasso medio annuo composto di crescita del Pil per abitante del nord è stato dell’1,6 per cento: un dato mai visto prima nei precedenti 4 trienni. Infatti, sia nel 2003-’05 (anni centrali del governo Berlusconi II) sia nel 2006-’08 (con il passaggio di testimone dal governo Berlusconi III al Prodi II e poi di nuovo al Berlusconi IV), il tasso medio annuo composto di crescita del settentrione era stato fermo intorno allo 0,2-0,3 per cento per abitante. Per poi crollare a meno 1,4 per cento all’anno nel 2009-’11 (con le due crisi consecutive dei mutui subprime e dei debiti sovrani e la fine del governo Berlusconi IV) e al meno 1,7 per cento medio nel 2012-14 (con il biennio dell’austerità Monti-Letta e i suoi traumatici postumi).

Se poi ci concentriamo sulle tre principali regioni del nord, possiamo osservare che nel triennio 2015-’17 il pil pro capite della Lombardia è cresciuto dell’1,7 per cento medio all’anno (il massimo storico precedente era stato il più 0,8 per cento annuo del 2006-08). Il Pil pro capite del Veneto ha toccato un tasso record di crescita annua dell’1,9 per cento (massimo precedente il più 0,9 per cento del 2003-05), mentre quello dell’Emilia-Romagna ha fatto registrare un più 1,3 per cento (contro il più 0,6 per cento del 2006-08).

  

In sostanza, con l’eliminazione della componente lavoro dell’Irap e della tassa sulla prima casa, con gli 80 euro, l’aumento dell’occupazione e il super-ammortamento, il pil per abitante delle tre più importanti regioni dell’Italia Settentrionale è aumentato nel 2015-17 oltre il doppio all’anno rispetto alla massima crescita annua toccata nei precedenti quattro trienni.

  

Si aggiunga che nel 2015-17 il pil per abitante del nord Italia nel suo complesso, nonché di Lombardia e Veneto ha surclassato per crescita media annua il pil tedesco mentre quello dell’Emilia-Romagna gli è stato dietro di appena un decimale. Mai accaduto niente neanche di lontanamente simile nei precedenti quattro trienni, con la sola eccezione della discreta performance del Veneto nel 2003-’05 già sopra ricordata.

   

Stesso discorso per i consumi delle famiglie sul territorio economico, cresciuti nel 2015-17 a tassi medi annui record senza uguali negli ultimi quindici anni tra l’1,8-1,9 per cento nel nord Italia nel suo insieme e nelle sue tre maggiori regioni.

   

Lo sviluppo tecnologico strozzato

Ma è soprattutto nella dinamica del valore aggiunto dell’industria che il nord Italia ha bruciato ogni precedente record nel triennio 2015-17, grazie anche alla spinta delle misure per il lavoro, all’alleggerimento della pressione fiscale sulle imprese, al piano per l’export made in Italy e agli incentivi per gli investimenti in macchinari, tecnologie abilitanti e mezzi di trasporto come il superammortamento e il Piano Industria/Impresa 4.0. Quando l’economia “tira”, prima di tutto è sempre grazie agli imprenditori e non è mai soltanto merito delle politiche economiche.

    

Ma non è un caso se proprio con le riforme e la particolare attenzione alle esigenze delle imprese il tasso medio annuo composto di crescita dell’industria del nord Italia nel 2015-’17 ha toccato una punta del 2,5 per cento, con un record a più 3,3 per cento del valore aggiunto industriale in Veneto (che ha sopravanzato il precedente 3 per cento medio del 2006-08). Sembra però ormai un secolo fa.

   

Adesso, mentre anche le regioni più competitive del settentrione rischiano di entrare in recessione nel 2019, la delusione degli imprenditori del nord Italia per il governo del “cambiamento” cresce di giorno in giorno. Assieme ad un certo rimpianto per il mini-boom non abbastanza apprezzato del recente passato.

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