Così lo strabismo dell'Antitrust europeo inguaia la sua zarina
Vestager si gioca la presidenza della Commissione sul deal Alstom-Siemens. Tra difesa della concorrenza e subalternità politica
Bruxelles. Il 18 febbraio Margrethe Vestager potrebbe trovarsi di fronte alla decisione più importante del suo mandato come commissaria europea all’Antitrust e per la sua possibile promozione a presidente della Commissione. Difendere la concorrenza e le sue regole oppure cedere alle pressioni politiche franco-tedesche per creare dei campioni europei che possano resistere alla Cina? Questa la domanda con cui si confronta Vestager in merito alla fusione tra Alstom e Siemens, destinata a creare un gigante europeo dell’industria ferroviari. Il progetto, ribattezzato “Railbus” in riferimento a Airbus nell’aeronautica, è in grado di fare concorrenza al cinese Crcc.
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Secondo indiscrezioni, i servizi Antitrust della Commissione sarebbero pronti a bocciare l’operazione perché porterebbe a un leader incontestato a livello europeo e mondiale per la fornitura dei treni a alta velocità e di materiale di segnalamento, ma anche di treni regionali e metro. I disinvestimenti promessi a dicembre da Alstom e Siemens per avere il via libera non sono bastati a Vestager. Le Autorità della concorrenza di Spagna, Regno Unito, Belgio e Olanda hanno espresso la loro contrarierà alla concentrazione. Questa settimana l’Antitrust tedesco ha espresso a Bruxelles “seri dubbi”. Ma le Autorità indipendenti devono fare i conti con la politica.
A gennaio il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, ha definito la bocciatura come un “errore politico” perché “indebolirebbe tutta l’industria europea di fronte alla Cina”. La confindustria tedesca, la Bdi, ha chiesto la modifica delle regole sulla concorrenza in chiave anti-cinese, col sostegno della cancelliera Angela Merkel.
La politica si è mossa anche ai piani alti della Commissione. Il suo presidente, Jean-Claude Juncker, ha messo la fusione Alstom-Siemens all’ordine del giorno della riunione del collegio dei commissari ieri a Strasburgo, durante la quale è stato chiesto a Vestager di chiarire la sua posizione. La scelta è inusuale: solo nei casi politicamente più sensibili la Commissione dibatte delle decisioni di concorrenza. “Vogliamo prendere in conto l’evoluzione dell'economia di domani. Non siamo naif. Non vogliamo guardare al futuro con gli occhiali del passato”, ha detto il commissario francese, Pierre Moscovici, lasciando intendere che una maggioranza della Commissione è favorevole a sacrificare un po’ di concorrenza in nome dei campioni europei.
Nel 2014, alla fine del mandato della Commissione Barroso, l’Antitrust europeo era stato messo al servizio della politica. All’epoca il bersaglio era Google, con cui il predecessore di Vestager, Joaquin Almunia, avrebbe voluto chiudere un accordo amichevole. Ma dopo una lettera intimidatoria di Parigi e Berlino e messo sotto pressione da altri commissari, Almunia fu costretto a lasciare in eredità l’inchiesta su Google a Vestager. La danese ha fatto fortuna politica presentandosi come il difensore dell’Ue dalla competizione del resto del mondo in nome delle regole della concorrenza. Se oggi è considerata papabile per la presidenza della Commissione è perché Vestager si è costruita la sua fama di zarina Antitrust addentando in modo aggressivo i giganti americani del digitale: multe miliardarie a Google e Qualcomm per abuso, Apple costretta a rimborsare 15 miliardi di presunti aiuti di Stato, inchieste contro Facebook e Amazon. Con gli interessi dei grandi paesi europei – dalle banche italiane a Gazprom passando per la fusione Bayer-Monsanto – Vestager si è mossa con maggiore sottigliezza. Su Alstom-Siemens ha mostrato i denti: “Non possiamo costruire questi campioni (europei) danneggiando la concorrenza” o “ guardare dall’altra parte quando le imprese europee violano le nostre regole”, ha detto da Berlino la scorsa settimana. Ma, se non mollerà la presa, Vestager rischia di perdere i sue due più grandi elettori per la presidenza della Commissione: Francia e Germania.