Altri cent'anni di euro per domarli tutti
La cavalcata dell’euro e di Draghi può mettere in ombra i detrattori
Roma. Ieri il Parlamento europeo ha celebrato i vent’anni dell’euro, che debuttò come moneta unica il primo gennaio 1999 mentre la sostituzione delle valute nazionali è del 2002, confermando due cose. Primo, l’euro è uno straordinario successo, per quanto ne dicano i detrattori. Secondo, come ogni grande impresa cammina sulla forza di chi l’ha attuata nella crisi finanziaria globale: la quale ha occupato oltre metà della vita dell’euro e i due terzi della sua circolazione fisica; situazione che avrebbe stroncato qualunque altra istituzione e alleanza multinazionale. Per dire: il dollaro fu scelto come moneta dagli Stati Uniti nel 1785 ma solo dal 1929 la Federal Reserve ne stampa le banconote e agisce da Banca centrale e prestatrice di ultima istanza. Sarebbe utile ricordarcene quando lamentiamo le molte carenze della Bce: un secolo e mezzo di rodaggio del dollaro, venti anni quello dell’euro. Se invece guardiamo ai protagonisti, i nomi sono due: Angela Merkel e Mario Draghi. Nelle celebrazioni a Strasburgo il presidente della Banca centrale europea ha presentato il report annuale relativo al 2017; molto è cambiato. Ora l’economia rallenta, ma nessuna crisi fatale è all’orizzonte.
Il soccorso monetario del Quantitative easing è cessato il 31 dicembre scorso. Anche la gigantesca economia tedesca sta scampando alla recessione, dei 19 paesi dell’Eurozona solo l’Italia si trova in guai veri. “Poiché oggi la gran parte delle sfide sono globali e possono essere affrontate solo insieme, in questa unione è la vera sovranità, che altrimenti andrebbe persa nella globalizzazione”, ha detto Draghi. “In questo senso l’euro ha dato a tutti i membri la propria sovranità monetaria e un potente motore di crescita per sostenere i propri standard di vita”. L’area euro è fatta di 350 milioni di abitanti, un po’ più degli Stati Uniti; il suo pil è appena sotto mentre l’Unione europea è oggi l’area più ricca e omogenea del mondo.
Quanto a Merkel, non sappiamo se quando, nel 2012-2014, mise in gioco la propria leadership per appoggiare Draghi nel mantenere l’euro unito “a qualunque costo”, avesse in mente un traguardo così ambizioso. Però lo fece sfidando la Bundesbank, l’allora fortissimo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e portandosi dietro senza retorica (non è mai stata il suo forte) l’opinione pubblica tedesca. Il ciclo Merkel è alla fine, e a ottobre scade il mandato di Draghi, e l’euro non solo si è salvato ma si è rafforzato, pur se la Bce dispone di strumenti ancora limitati rispetto alla Fed che può intervenire direttamente sul cambio. E che, nonostante tutte le chiacchiere sull’indipendenza da Donald Trump del suo presidente Jerome Powell, va avanti nell’aumento graduale dei tassi, cosa ancora problematica per l’Eurotower. Anche le critiche all’euro sono oggi minori e residuali. In Italia non smette di essere euroscettico Matteo Salvini, che ieri ha parlato di “Bce prevaricatrice e causa di instabilità per i risparmi”. Il capo della Lega si riferiva alle richieste dell’Eurotower alle banche italiane di coprire entro sei anni con rafforzamenti patrimoniali i crediti deteriorati: polemica non priva di qualche ragione, ma strumentale se rapportata al populismo statalista con il quale il governo gialloverde è intervenuto in Carige e dintorni. Intanto Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista puntano su Strasburgo per aprire anche quel Parlamento come una scatoletta di tonno.
Tutto as usual, peccato che al coro si sia unito il Corriere della Sera, che il 5 gennaio attraverso il vicedirettore Aldo Cazzullo ha definito quello dell’euro “un compleanno nel quale non c’è molto da festeggiare”. La tesi è che “ci ha guadagnato solo la Germania, la Francia è stata una delle nazioni più penalizzate e peggio è andata alle altre grandi economie continentali, quella spagnola e la nostra”. Tutte le opinioni sono lecite, ma i numeri dicono il contrario: senza euro e aggancio con la Germania la vulnerabile economia francese non avrebbe retto alla crisi, tanto meno il suo debito pubblico. Quanto alla Spagna, ancora meno. Fatto sta che l’ultimo sondaggio di Eurobarometro rivela che nel 2018 gli italiani che voterebbero per tenersi l’euro sono saliti al 57 per cento, di 12 punti, e i contrari scesi al 30. I francesi filo-euro sono il 59 per cento, gli spagnoli il 62. L’antieuropeismo è in retromarcia.