Buchi nell'acqua. Così avanza l'idrovora di stato

Alfredo Macchiati

La proposta grillina di nazionalizzare il settore idrico ha un costo enorme, superiore ai 15 miliardi, e può fermare processi virtuosi appena avviati. Il rischio è di imporre un fardello alla collettività senza prevedere meccanismi per migliorare il servizio

Negli ultimi anni, il settore idrico italiano ha compiuto considerevoli passi in avanti verso un servizio più efficiente e di qualità per i cittadini. L’Autorità nazionale, l’Arera, rientra tra gli attori, grazie alla creazione di regole certe e omogenee, nel rispetto di un quadro di governance multi-livello sviluppatosi negli ultimi venti anni e che coinvolge enti locali, regioni e ministeri. Dal 2011, anno in cui ha acquisito le competenze in materia di servizi idrici, l’Arera ha perseguito l’obiettivo di una maggiore solidità del quadro regolatorio per favorire gli investimenti infrastrutturali. Le statistiche mostrano un netto miglioramento: prendendo a riferimento un target basato sulle migliori pratiche internazionali, il gap infrastrutturale è sceso da circa 49 €per abitante nel 2011 a circa 28 (la media nazionale).

 

Il gap infrastrutturale rimane tuttavia notevole, soprattutto nel Mezzogiorno e in specifici segmenti della filiera, come l’approvvigionamento e la depurazione, dove siamo esposti a procedimenti di infrazione da parte della Commissione europea. Inoltre, le perdite di rete risultano ancora molto elevate: intorno al 40 per cento dell’acqua potabile che entra nei tubi non arriva al rubinetto. Nel grafico in pagina, si notino le percentuali di dispersione idrica per aree geografiche.

 

Le cause sono molteplici. Tra queste si deve menzionare la elevata frammentazione del settore, sia sul fronte degli operatori (circa 2.100 nel 2017) che dei decisori locali responsabili della pianificazione e dell’applicazione delle regole tariffarie. Tale frammentazione è ancora oggi fonte di inefficienze gestionali, ritardi nella pianificazione, mancato raggiungimento di una scala finanziaria efficiente. La attuale dimensione prettamente locale degli enti di governo d’ambito non permette una visione d’insieme, il che rappresenta un ostacolo all’implementazione di progetti di grande dimensione che potrebbero avere ripercussioni positive su più ambiti territoriali. Infine, le tariffe sono mediamente molto basse: circa un quarto di quelle tedesche e circa la metà di quelle francesi ed inglesi, sulla base di un confronto tra le rispettive capitali.

 


infografica di Enrico Cicchetti


 

Una situazione dunque in progresso ma con vaste aree di necessario miglioramento e che indica in modo chiaro le priorità per le politiche pubbliche del settore. In primo luogo il mantenimento delle regole tariffarie introdotte dall’Arera e la loro estensione a tutta la popolazione (ancora circa un terzo degli utenti non segue le regole tariffarie stabilite dal regolatore). Poi, un maggiore coinvolgimento di soggetti istituzionali che in altri contesti hanno assunto un ruolo fondamentale nel processo di consolidamento e crescita delle infrastrutture idriche – per esempio in Portogallo Aguas de Portugal, AdP, holding statale partecipata da Caixa Geral de Depositos, ha svolto a partire dal 1993 un ruolo di investitore anche in capitale di rischio e intermediario e garante nei confronti degli operatori, finanziando così gli investimenti necessari. In terzo luogo, il settore necessiterebbe dell’estensione completa del modello di regolazione agli usi irrigui e industriali per beneficiare di una filiera pienamente integrata. Infine, la definizione di bacini tariffari più ampi favorirebbe anche la sostenibilità tariffaria degli investimenti (in quanto verrebbero “spalmati” su una popolazione più estesa).

 

Un programma vasto e innovativo. Il Parlamento ha invece iniziato la discussione su una proposta di legge, la AC 52 (prima firmataria Federica Daga del Movimento 5 stelle), incentrata su tutt’altri strumenti: non solo la completa pubblicizzazione di un settore dove i privati, pur partecipando in molte aziende non hanno situazioni di controllo delle imprese se non in un irrisorio 1 per cento dei clienti serviti, ma anche l’abbandono della forma societaria a favore delle azienda speciale. Inoltre, il completo abbandono del finanziamento da mercato a favore del finanziamento degli investimenti tramite un fondo alimentato dalla fiscalità generale.

 

Questi due interventi generano un impatto sulla finanza pubblica notevole: secondo uno studio prodotto da Oxera, la revoca delle concessioni ad aziende, pur controllate nella stragrande maggioranza dei casi, richiederebbe il pagamento di un indennizzo una tantum stimabile, tenuto conto del capitale investito, tra gli 8,7 e i 10,6 miliardi di euro. Se è chiara la finalità politica del ricorso alla forma dell’azienda speciale (“l’acqua appartiene alla comunità”) meno chiari i vantaggi gestionali, considerato che le aziende speciali (entri strumentali dei comuni) raramente brillano per efficienza, come è inevitabile in organizzazioni che devono produrre servizi quando sono guidate da logiche politiche. Tornando all’impatto sulla finanza pubblica, il finanziamento degli investimenti, sottratto al mercato dei capitali, genererebbe un fabbisogno annuo tra i 2 e i 4 miliardi a seconda di quanto il decisore pubblico intenda mettere a disposizione per colmare il gap infrastrutturale. A questo andrebbero aggiunti altri fabbisogni una tantum per circa 6 miliardi (dovendosi rimborsare gran parte del debito che le società hanno contratto e dovendo rinunciare i comuni ai canoni che oggi incassano dalle concessionarie); infine, per finanziare il consumo minimo vitale di 50 litri pro capite, previsti nella proposta di legge, sarebbero necessari circa 2 miliardi annui. Dunque, la proposta di nazionalizzazione del settore idrico presenta un costo enorme che si prevede di fronteggiare con diversi strumenti – tra cui l’immancabile lotta all’evasione fiscale e un aumento dell’imposta sulle transazioni finanziarie –, peraltro non sempre quantificati puntualmente o utilizzando risorse già occupate da altri fondi e che comunque richiederebbero una delega specifica che nella stesura attuale manca. Viene altresì smontato il meccanismo tariffario vigente che viene sottratto al regolatore indipendente e riportato sotto il diretto controllo politico del ministero dell’Ambiente. Per mettere al centro i cittadini, per offrire loro un servizio migliore, con costi tenuti sotto controllo da un regolatore indipendente e tecnicamente attrezzato, potrebbero essere studiate altre e innovative forme di partecipazione piuttosto che la nazionalizzazione, con costi che ricadrebbero sulla collettività e la distruzione dei progressi compiuti negli ultimi anni.

 


 

Alfredo Macchiati è direttore dell’ufficio italiano di Oxera

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