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Così il governo sta inguaiando le banche

Mariarosaria Marchesano

Il M5s disincentiva il recupero dei crediti immobiliari. Un problema per le aggregazioni bancarie

Milano. In questi giorni i titoli del settore bancario continuano a perdere terreno in Borsa non solo per i timori legati alla stretta della Banca centrale europea sui crediti deteriorati, ma perché gli investitori hanno percepito che potrebbero cambiare le regole per la vendita all’asta degli immobili in seguito ad alcuni emendamenti al cosiddetto dl Semplificazioni. Il motivo è che l’inevitabile allungamento dei tempi di recupero dei crediti che ne deriverebbe rischia di scoraggiare gli operatori che acquistano pacchetti di npl dalle banche e di provocare un’ondata di ribasso sui prezzi di questi asset immobiliari. In una fase in cui il governo gialloverde spinge per fare partire fusioni e aggregazioni tra gruppi bancari allo scopo di salvaguardare situazioni a rischio, come Monte dei Paschi di Siena e Carige, una simile mossa suona contraddittoria alle orecchie degli investitori.

 

Se in futuro sarà più complicato per le banche liberarsi dei crediti deteriorati o se – in seguito agli emendamenti in discussione alla Commissione bilancio del Senato – dovesse diminuire il loro valore di cessione, è prevedibile che questo avrà impatto sul processo di consolidamento che, a parole, si vuol favorire.

 

“L’impressione è che le forze di governo non vedano in modo chiaro il nesso tra le procedure di recupero dei crediti inesigibili, da un lato, e la risoluzione delle crisi bancarie, dall’altro – spiega al Foglio Ubaldo Palmidoro, presidente di Centaurus Capital Management, operatore specializzato in npl che in Italia opera per conto di fondi italiani e inglesi – ma questo collegamento esiste, tant’è che, tra i 2015 e il 2016, è stata varata una riforma che ha accelerato i tempi delle procedure esecutive nei tribunali e che ora viene messa in discussione. Il rischio è che di fronte all’ennesimo cambiamento del quadro normativo gli investitori scappino lasciando la zavorra dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche”.

 

Si potrebbe obbiettare che questi argomenti hanno scarsa presa sul Movimento 5 Stelle dal quale proviene la spinta alla demolizione dell’attuale sistema di recupero crediti. L’obiettivo di chi ha proposto gli emendamenti al dl Semplificazioni – e cioè Gianluigi Paragone, Agostino Santillo e Stefano Patuanelli – è, infatti, quello di “difendere le case degli italiani”, come ha dichiarato Alessandro Di Battista.

 

“In realtà, si rischia l’effetto contrario perché se il valore di mercato dell’immobile si riduce, questo va a detrimento prima di tutto del debitore che si vorrebbe salvaguardare”, dice Palmidoro che in questi giorni ha seguito passo passo l’iter parlamentare degli emendamenti la cui portata, nella stesura finale, è stata solo in parte attenuata rispetto alla versione iniziale in seguito al pressing esercitato dalla Banca d’Italia preoccupata degli effetti sul settore bancario.

 

Più nei dettagli, i Cinque stelle puntano a modificare l’articolo 560 del codice di procedura civile in tema di custodia giudiziaria degli immobili pignorati. In sostanza, si vuole fare in modo che il proprietario-debitore insolvente – sia che si tratti di una famiglia sia nel caso di un’impresa – permanga il più a lungo possibile nell’unità immobiliare, anche se questa viene venduta all’asta dalla banca per recuperare il prestito. Anzi, stando all’attuale formulazione di uno dei tre emendamenti, il giudice può ordinare lo sgombero dell’immobile solo successivamente all’atto di trasferimento all’acquirente terzo, il che equivale a dire che chi compra lo potrà fare solo con l’immobile occupato. Un’altra modifica prevede di offrire la possibilità al debitore di convertire il pignoramento in una proposta di acquisto dell’immobile che può essere avanzata anche alla fine della procedura d’asta versando un sesto del valore come deposito e interrompendo così il processo di cessione a terzi.

 

Più capitale per Carige?

In realtà, la volontà di smontare l’attuale sistema di recupero crediti non è proprio una sorpresa, visto che il contratto di governo, al capitolo quinto, prevede esplicitamente la soppressione di “qualunque norma che consenta di poter agire nei confronti dei cittadini debitori senza la preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria”. Fino a poco tempo fa nessuno sapeva ancora come si sarebbe tradotta in concreto questa linea di indirizzo che oggi emerge da emendamenti che, in questi giorni, sono al centro di riunioni fino a tarda notte proprio per la loro complessità e per i mal compresi effetti sul settore bancario. “L’incertezza di questo momento rischia di bloccare tutte le operazioni in corso riguardanti la cessione di pacchetti di npl – conclude Palmidoro – E’ molto probabile che occorrerà rivedere il prezzo alla luce di un allungamento dei tempi che saranno necessari per il recupero”. Non è una buona notizia per le banche che stanno già affrontando la delicata questione degli accantonamenti delle sofferenze il cui valore di bilancio dovrà essere azzerato in sette anni, secondo la Bce. “C’è inoltre il rischio di far lievitare l’entità degli aumenti di capitale necessari per mettere in sicurezza alcune banche perché si riduce il valore degli npl in bilancio”, conclude Palmidoro. Secondo una simulazione pubblicata dal Sole 24 Ore, occorrono 200 milioni per Carige oltre al bond convertibile di 320 milioni già sottoscritto dal fondo interbancario. Basteranno se gli npl ancora in pancia a Carige varranno di meno?

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