Particolare de "Il banchiere e sua moglie" (1514 circa), di Quentin Metsys, Olio su tavola, 71 x 67 cm Parigi, Musée du Louvre

Elogio della ricchezza globale

Giuliano Ferrara

La povertà nasce dalla miseria collettiva e trasformare i ricconi nei testimoni della diseguaglianza mondiale è una fesseria

Sono 25 e posseggono la metà della ricchezza del mondo o giù di lì. Che c’è di strano? In che cosa sarebbero testimoni di diseguaglianza? Pare invece che sia accaduto il contrario, precisamente l’opposto. Molta molta gente è uscita da una condizione di estrema povertà, le diseguaglianze globalmente si sono ridotte negli ultimi decenni, gli stessi in cui quelle ricchezze sono state accumulate, hanno preso a circolare, prima di essere in parte tesaurizzate, non senza restare per lo più ricchezze contendibili, con altri ricchi potenziali che incalzano da est a ovest, da nord a sud. Ah, ecco, globalmente. E’ appena ovvio che queste grandissime ricchezze sono il prodotto della tecnologia globale, dei mercati unificati e del posto eminente della finanza nel teatro degli scambi, dell’evoluzione del capitalismo internazionale e multinazionale, di inventiva, di investimenti, di rischio o azzardo ben calcolato e fortunato, di sfruttamento anche brutale di risorse anche umane. Per Marx lo sfruttamento non è una moralità confortante e battagliera da agitare a vanvera, è un rapporto di produzione e di scambio che configura la sua anatomia della società civile. Le economie autoritarie, pianificate, non conoscevano questo rapporto di produzione e di scambio, infatti non c’erano i ricchi smisurati, non c’era accumulazione privata, iniziativa privata, c’erano ricchezze incamerate dallo stato e dal partito, sempre decrescenti, e i popoli se la passavano parecchio male, l’eguaglianza livellatrice era un segnacolo in vessillo ma veniva pagata con la miseria collettiva, comune, comunista. Sono cose che è grottesco e imbarazzante dover ripetere. 

 

Poi uno sui ricchi può pensarla come vuole. Ci sono quelli che amano i lussi, così sconfortanti e inutili e pacchiani, ci sono quelli filantropi, che pagano per il benessere degli altri una tassa che nessun impiegato comunale sarebbe disposto a pagare, in proporzione, sul suo reddito o patrimonio, ci sono quelli esibizionisti e cinici e quelli liberal e riformatori e serissimi e responsabili che amano e promuovono democrazia e cultura e guerra alle malattie. Comunque i ricchi se sono ricchi, se non sono rapinatori o gente per male da moralizzare, lo sono perché un sistema di traffico e produzione glielo consente, di essere ricchi, anzi straricchi. Non sono il cartello di Medellín, non sono la mafia, una associazione per delinquere su scala mondiale. Sono quelli dei droni che ti portano la posta a casa, con i libri, la pizza, i mobili, le scarpe, quelli che hanno illuminato miliardi di schermi per i più vari usi, quelli che hanno saputo giocare in Borsa e investire e arricchire e impoverire altri tra cui disgraziatamente molti fool separati dal loro money, sono quelli delle auto più o meno elettriche, delle medicine che a qualcosa servono, della ricerca, dei ritrovati di stile e di connessione tra uomini e cose, gli avventurosi che fanno circolare le economie e prendono il pedaggio del loro lavoro e delle loro idee e delle conglomerate in cui il loro lavoro si diffonde, si estende, crea ricchezze sociali da cui la vita di miliardi di persone dipende, in molti casi anche sfruttando le differenze di forza nella capacità contrattuale di quelli che lavorano per loro, insomma comportandosi da farabutti secondo la legge (del mercato). 

 

Non devono essere specialmente ammirati né denigrati né invidiati, sono bolse tutte le retoriche paraclassiste, di un genere o dell’altro, che riguardano gli straricchi e li stabiliscono come termine di paragone. Non sono la causa della povertà, per non arrivare a dire come Reagan, cinico performer ma estremamente compassionevole e molto amato dai suoi compatrioti, che loro e i loro emuli sono tra quelli che i poveri li riducono uscendo dal loro novero. O per non aggiungere con la fantastica Billie Holiday: I’ve been poor and I’ve been rich: rich is better.  Oltre tutto i Creso ci sono sempre stati. Il mondo ha sempre ricoperto d’oro alcuni, e quell’oro è insieme la risorsa e il fango di cui il mondo è fatto, ricchi straricchi e poveri e borghesi e miserabili si sono sempre alternati sul palcoscenico della nostra immaginazione, una recita a volte anche grandiosa, ma le grandi letterature, specie nell’Ottocento, specie in Russia e in Francia, hanno fatto del povero l’alfa e l’omega della cristianità esistenziale, mentre per i narratori e investigatori letterari americani, da Hawthorne a Melville, i poveri non esistono, sono la verità delle cose, semplicemente, pragmaticamente. E così sono quelli che per avventura diventano ricchi. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.