Emiliano ha titolo per parlare di decarbonizzazione dell'Ilva?
La Puglia genera il 60 per cento dell’energia dal carbone e non c’è alcun boom di rinnovabili. Parla Sorgenti, vicepresidente di Assocarboni
Roma. Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che censura il comportamento dell’Italia nella gestione dello stabilimento Ilva, ora passato ad ArcelorMittal, per non avere compiuto le migliorie previste per legge con l’Autorizzazione integrata ambientale del 2012, il cui completamento è stato rinviato al 2023, si torna a parlare di “decarbonizzazione” del siderurgico di Taranto.
“Siamo impazienti di avviare presto con Arcelor Mittal un confronto su questo tema che sono certo sarà proficuo al fine di delineare una road map stringente per raggiungere questo storico traguardo”, ha detto Cosimo Borraccino, assessore allo Sviluppo economico della Regione Puglia. “La decarbonizzazione è l’unica strada”, grida ormai da tempo il presidente della Puglia Michele Emiliano del Pd.
Che sia Emiliano a parlare di “decarbonizzazione” colpisce in quanto la sua regione è essenzialmente dipendente dal carbone per la produzione di energia elettrica. “Lo è fino al 60 per cento”, dice al Foglio Rinaldo Sorgenti, vicepresidente di quella Assocarboni che raccoglie gli operatori del carbone in Italia. Ma non ha un record di energie rinnovabili? “Non il record italiano: quello ce lo ha la Lombardia, grazie al settore idroelettrico. In Italia l’idroelettrico arriva al 14-15 per cento, ma la Puglia non ha capacità idroelettrica. Di eolico e solare arriva forse al 25-30 per cento”. Però Emiliano dice che bisogna decarbonizzare. Anzi, non vuole neanche il gas: si oppone alla Tap. “Bene. Visto che è ancora un magistrato magari potrebbe continuare a fare il magistrato, perché di queste cose dimostra di capirne davvero poco. O magari pensa che siccome in Puglia di lavorare non ce ne è troppo bisogno, la gente quando non c’è vento o non c’è sole può decidere se restare a letto a dormire, o andare a fare una passeggiata”.
“Puglia e Sardegna sono le due regioni italiane che più dipendono dal carbone per il loro approvvigionamento energetico”, ricorda Sorgenti. Tanto che da il presidente della Regione Sardegna, Francesco Pigliaru, anche lui del Pd come Emiliano ha scritto al premier Giuseppe Conte per chiedere che chiudere le centrali a carbone “significa mettere la Sardegna in ginocchio”.
Perché in Puglia e Sardegna c’è questo record di elettricità da carbone? “In Sardegna c’era produzione. Ora è stata interrotta da un paio di anni. Siccome siamo ricchi e furbi, abbiamo deciso che quel carbone non ci serve”, dice con ironia. "C’è un allarme catastrofista sui cambiamenti climatici antropogenici, che non tiene conto del fatto che l’emissione dei gas a effetto serra dovuta all’uomo è non più del 4 per cento del totale. Ma noi italiani produciamo solo un quarto dell’energia da carbone prodotta da altri paesi in cui pure c’è lo stesso allarme. In più abbiamo rinunciato anche al nucleare. Risultato: l’energia che produciamo non ci basta, e dobbiamo importare il 14-15 per cento del nostro fabbisogno da Francia, Svizzera, Germania, Slovenia. Per lo più energia da nucleare, viso che siamo furbi”. La Puglia non ha invece mai avuto miniere di carbone. “Ma è una penisola che si spinge in mare, e ha impianti siderurgici a cui il carbone serve per il ciclo dell’acciaio. Si fanno dunque centrali e altiforni vicino ai porti, e si può così utilizzare il carbone sbarcato direttamente dalle navi”.
“Carboni è detto al plurale perché ce ne sono di diversi – spiega Sorgenti – c’è il carbone da vapore, che serve a produrre elettricità. C’è il carbone siderurgico, che serve nel ciclo dell’acciaio”. Sorgenti illustra alcune cifre per comprendere come mai il carbone non sia facilmente sostituibile. “A livello mondiale, il 40 per cento dell’elettricità è prodotta col carbone. A livello italiano l’11-12 per cento, da otto centrali”. Quelle che il governo con una disposizione del ministero dell’Ambiente vuole chiudere tutte entro il 2025, da cui la protesta di Pigliaru. “E fa molto bene a protestare, perché la Sardegna dipende dal carbone per il 50 per cento del proprio approvvigionamento di elettricità. Non ha un collegamento con la rete del gas, tant’è che i sardi cucinano con le bombole. Chiudere i due gruppi della centrale a carbone sarda significa costringere alla chiusura quel po’ di industria che ancora resta nell’isola”.
Anche altri paesi stanno abbandonando il carbone, però: il 2018 si è chiuso con la notizia che in Germania ha chiuso l’ultima miniera di carbone. “E non è vero. In realtà, ha chiuso l’ultima miniera di antracite: un carbone particolarmente ricco che viene usato in siderurgia. Ma si trattava di una miniera a 1000 metri di profondità, che al costo della mano d’opera tedesca non era più conveniente. Costa di meno importare da paesi come Stati Uniti, Colombia, Polonia, Sudafrica o Indonesia. Ma la Germania estrae ancora 200 milioni di tonnellate di lignite all’anno. Carbone più povero, che non va bene per la siderurgia, ma che va benissimo per produrre l’elettricità Infatti la Germania trae dal carbone il 40 per cento della propria elettricità. Risultato: noi con 62 milioni di abitanti grazie a un 11-12 per cento di carbone produciamo 260-270 terawattora: poiché ne consumiamo 310-320, dobbiamo importare il 15 per cento di fabbisogno. La Germania con 81 milioni di abitanti, un 30 per cento in più rispetto a noi, produce 600 terawattora. Più che il doppio!”
Emiliano però dice che vuole decarbonizzare anche la produzione di acciaio. E cita proprio l’esperienza tedesca di Salzgitter come un esempio di siderurgia senza carbone ma utilizzando gas e idrogeno. “Certo. Emiliano evidentemente è diventato anche un grande esperto di industria siderurgica! Le acciaierie elettriche le abbiamo anche nel Bresciano, ma per riciclare i rottami di ferro. Un impianto siderurgico a gas e idrogeno si può pure fare, come esperimento. Ma l’idrogeno per ricavarlo dall’acqua ha bisogno di energia, il gas è più dispendioso del carbone. Fare acciaio con l’elettricità si può, teoricamente. Ma con prezzi fuori mercato, forse il 20 o 30 per cento in più di costo”. Forse? “La verità è che non si sa, perché nessuno produce grandi quantità di acciaio in questo modo. Il vero modo che Emiliano ha di decarbonizzare l’Ilva è chiuderla. Tanto i cinesi già fanno il 50 per cento dell’acciaio mondiale. Se vogliamo dipendere ancora di più da loro, la strada indicata da Emiliano è quella perfetta!”.