Perché l'accordo Lega-M5s sulle trivelle non abolisce le trivelle
Costa dovrà dimettersi se vuole davvero evitare di autorizzare nuove estrazioni. Il governo aumenta i canoni per le concessioni petrolifere per poter pagare gli indennizzi alle stesse compagnie
Dopo quindici giorni di trattativa e quattro versioni dell'emendamento sulle trivelle, Lega e M5s hanno trovato un accordo che sblocca il decreto Semplificazioni ma che sembra abbastanza lontano da quanto ministri e politici a 5 stelle stanno raccontando di aver ottenuto. Il compromesso è scritto nero su bianco e salvo ulteriori modifiche non eviterà che il ministro dell'Ambiente Sergio Costa – che si dice "soddisfatto" – firmi nuove autorizzazioni a trivellare, come da lui dichiarato ieri: in base all'emendamento, infatti, non è escluso che nei prossimi mesi sulla sua scrivania possa arrivare una valutazione di impatto ambientale positiva per nuove estrazioni di gas o petrolio, quindi per nuove "trivelle", che in quanto ministro dovrà per forza firmare, a meno che non decida di dimettersi.
La moratoria ci sarà, quello sì, e durerà al massimo due anni, ma rispetto alla precedente versione la Lega è riuscita a limitare la sospensione solo alle attività di ricerca e prospezione, quei lavori cioè che servono per verificare che in una determinata zona ci siano effettivamente gas o petrolio prima di andare a estrarre le risorse. La norma avrà impatto su 39 progetti già autorizzati, che dovranno fermarsi e aspettare di conoscere l'esito della mappa che il ministero dell'Ambiente preparerà nell'arco di 18 mesi, un Piano delle aree che stabilisce dove si può estrarre gas e petrolio e dove è vietato.
Allo stesso tempo, tuttavia, l'emendamento prevede che se una compagnia ha già richiesto l'autorizzazione per estrarre petrolio e gas, la procedura amministrativa deve essere portata a termine e, nel caso di esito positivo, potrà procedere con i lavori. "E' una bugia sostenere che non ci saranno più nuove piattaforme", conferma al Foglio Enzo di Salvatore, professore di Diritto costituzionale all'Università degli studi di Teramo e autore dei quesiti referendari sul tema del 2016. Secondo la relazione tecnica sono 9 le imprese che hanno presentato istanze in tal senso, dopo aver già concluso le operazioni di ricerca propedeutiche all'estrazione. Il loro destino dipende dai tempi delle autorizzazioni: se l'ok arriva prima della definizione del Piano delle aree, i progetti sono salvi; se arriva dopo bisognerà verificare se c'è interferenza con le aree protette, se così fosse allora il progetto sarà rigettato. Un'eventualità che apre alla possibilità di contenziosi che la relazione tecnica stima per eccesso in 390 milioni di euro. A questi vanno aggiunti gli eventuali risarcimenti da riconoscere a chi, tra i 39 titolari di permessi di ricerca, si vedrà stoppare i lavori con il rischio di non riprenderli più, per un totale di 470 milioni di euro.
Oneri a cui il governo farà fronte con l'aumento dei canoni di concessione previsti dallo stesso emendamento, che potrebbero essere rivisti ancora al rialzo nel caso in cui ce ne fosse bisogno. Un punto, questo, che svela il respiro corto del provvedimento e l'assenza totale di una visione di politica energetica: chiedere alle imprese di pagare fino a 25 volte in più di quanto pagato fino al giorno prima può essere giustificato se almeno si prevedesse di investire le entrate per finanziare le politiche che riguardano la transizione energetica. Usare quei soldi per pagare gli indennizzi causati dalla stessa norma sembra un inutile cortocircuito. Immaginare poi di incidere sul futuro energetico dell'Italia a colpi di emendamenti, invece che con un piano organico condiviso in Parlamento, è un risultato modesto per un partito che all'ambiente ha dedicato una delle cinque stelle del suo simbolo. Imprese e lavoratori dell'Oil&gas sono così messi a rischio per una disputa che resta puramente elettorale e che neppure serve a ricucire gli strappi con la base ambientalista, che comunque diffida per più motivi dalla proposta presentata. "Formulando l'emendamento in questo modo, il governo ha deciso di non decidere niente e di rimandare tutto di 18 mesi – dice Di Salvatore – E se il Piano alla fine saltasse? Sarebbe tutto esattamente come prima".