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Come evitare che Taranto diventi Nottingham

Alberto Brambilla

Nella città dell'Ilva avanza l'idea di aumentare le imposte locali. Ma servirebbe una "no tax area"

Nella leggenda Robin Hood combatte lo sceriffo di Nottingham che vessa i poveri abitanti riscuotendo tributi sempre più onerosi (e punisce chi non può farcela con l’impiccagione). Lo sceriffo aveva l’opportunità di portare all’esasperazione il potere, concesso dal sovrano, di esercitare il monopolio dell’esazione, senza alcun limite stabilito. Può esistere un posto simile alla Nottingham di Robin Hood oggi giorno? Probabilmente la città di Taranto ci si sta avvicinando parecchio. La legge di Bilancio 2019 dà l’opportunità ai comuni di aumentare i tributi locali perché abolisce l’obbligo di non farlo stabilito in precedenza. E proprio a Taranto, un comune in dissesto, si comincia ad avanzare l’ipotesi di aumentare l’imposta sui rifiuti, la Tari, del 6 per cento. Per l’amministrazione la scelta è determinata, da un lato, dall’aumento dei costi del servizio e, dall’altro, dalla riduzione dei trasferimenti statali alla municipalità, per un milione di euro circa, comportando quindi un aumento della pressione tributaria sui cittadini come rimedio necessario al fine di mantenere il servizio. Altri comuni, in questi mesi, hanno rassicurato sul fatto che non ci saranno aumenti di aliquote e tariffe quando dovranno approvare il loro bilancio, entro fine febbraio. Ma il caso tarantino è lì a dimostrare che per le amministrazioni locali è possibile approfittare dell’opportunità concessa dal governo gialloverde con la legge di Bilancio. Si vedrà.

 

Per Taranto, tuttavia, sarebbe utile e necessario tentare un esperimento che va nella direzione opposta rispetto a un aumento delle imposte a tappeto.

 

Negli corso degli anni i governi che si sono succeduti, da quello del Partito democratico guidato da Matteo Renzi a quello attuale, con il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, hanno promesso provvedimenti olistici per la città, ovvero capaci di farne un centro di attrazione turistica, un approdo commerciale, quindi una risorsa sia culturale sia infrastrutturale, infine un esempio di opera di risanamento ambientale data l’insistenza sul territorio dell’acciaieria Ilva, la più grande d’Europa, ora passata ad ArcelorMittal.

 

Nel 2014 Renzi diceva che “le famiglie tarantine e i bambini meritano una grande operazione di risanamento ambientale e anche industriale”. Lo scorso 6 settembre in occasione del passaggio ufficiale dell’Ilva al grande gruppo europeo Di Maio aveva detto che “è venuto il momento di una legge speciale per il rilancio di Taranto e di mettere risorse nella legge di Bilancio”. Niente di tutto ciò è pervenuto al momento. Ognuno, fosse Pd o Cinque stelle, prometteva di lavorare in profondità per dare sollievo alla comunità del capoluogo ionico, ma solo a parole. Per anni la città non ha avuto alcun sollievo, fiscale soprattutto. Anzi, sembra che la prospettiva sia quella di una stretta per gli abitanti, via imposte comunali, tanto per cominciare. C’è una possibile soluzione? Probabilmente sì, fare tutto il contrario di quanto fatto finora: affamare la bestia.

 

Con un editoriale di sabato scorso, a firma Pasquale Vadalà, la Gazzetta del Mezzogiorno ha tirato la freccia di Robin Hood e lanciato l’idea di una “no tax area” come unica opportunità per risollevare la città, altrimenti moribonda, capoluogo di una provincia ultima per lavoro e affari, secondo la classifica annuale del Sole 24 Ore, pubblicata lo scorso dicembre (si guarda sempre la prima, Milano, ma all’ultima si riserva una disattenzione che non meriterebbe). E insomma la Gazzetta ripropone un’idea che di tanto in tanto riaffiora, ma che ora si pone come rimedio emergenziale: “Più che urgente, è vitale che Taranto, in risarcimento dei sacrifici compiuti per il progresso della nazione, possa accedere oggi a una vera, autentica ‘no tax area’, quanto meno decennale, tale da sospendere il pagamento delle imposte statali sull’impresa, allo scopo di rendere nuovamente appetibile far business, unico volano di reddito e lavoro tra i due mari”.

 

D’altronde, alla Fiera del Levante a Bari, fu il vicepremier del M5s a promettere di portare nuovi investitori, perché la città era diventata un “deserto” imprenditoriale in quanto non c’era impresa che non sia asservita all’Ilva, o ad altri complessi industriali, e quindi incapace di creare reddito al di fuori dell’indotto di grandi industrie. Sarebbe una battaglia per cui potrebbero battersi gli amministratori locali. Battaglia degna di essere tentata per cercare di recuperare la possibilità di attirare investimenti italiani e magari esteri giustificata da un secolo di sacrificio del suolo per l’industria, dall’Ilva a Cementir, e per l’arsenale e la marina militare. D’altronde una legge speciale non sarebbe una novità per Taranto dal momento che per salvare il siderurgico sono stati approvati dodici decreti. Certo, al momento, tutto fa pensare che questa sensibilità non esista affatto. Per dire, la società turca Yilport Holding ha intenzione di investire nel molo polisettoriale del porto di Taranto con una prospettiva di cinquant’anni ma è oggetto di un ricorso al Tar di Lecce da parte di imprenditori locali che avanzano pretese su una porzione dello scalo commerciale, che un tempo fu oggetto di attenzione e investimenti cinesi. Esempi virtuosi, limitatamente a quanto possono fare le amministrazioni comunali, esistono. Caso recente: a Jesi, nelle Marche, l’esperimento è già in corso, ai nuovi esercizi commerciali e attività artigianali, aperti nel 2018, viene confermata la possibilità di ottenere contributi a compensazione di tassa sui rifiuti e sulla pubblicità, oltre all’Imu, se dovuta, per i primi tre anni di attività, ovvero per un periodo entro il quale comunemente si rientra dall’investimento iniziale. Le amministrazioni possono usare la leva fiscale in ottica concorrenziale, per attirare investimenti e attività economiche in modo più efficace dei comuni o degli enti locali vicini. Possono azzerare i prelievi o dare compensazioni per tenere in vita aree altrimenti spopolate o depresse. Oppure possono esercitare il potere dello sceriffo di Nottingham e continuare a spremere i cittadini finché questi ultimi non avranno più nulla da dare o saranno fuggiti altrove. E’ una speranza pensare che Taranto, o altre luoghi, non diventino come Nottingham.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.