(Foto Imagoeconomica)

Meno posti stabili, più contratti a termine. L'effetto del decreto precarietà

Renzo Rosati

Scende la disoccupazione, ma calano i contratti a tempo indeterminato. Il decreto dignità fa effetto (contrario)

Roma. Nel giorno più nero del governo gialloverde, quello della recessione, la maggioranza si è tuffata sull’unico dato in apparenza positivo dell’Istat: la discesa a dicembre 2018 dal 10,5 al 10,3 per cento della disoccupazione, e l’aumento di un decimale, al 58,8 per cento, dell’occupazione, che resta sempre al livello più basso in Europa esclusa la Grecia. “Merito del decreto dignità” dice Luigi Di Maio nella veste di ministro del Lavoro. Ma anche su questo il capo politico della decrescita ha torto.

 

Intanto la disoccupazione giovanile aumenta dal 31,8 al 31,9 per cento, e questo vuol dire che se in Europa si sono persi in un mese 5 mila posti di lavoro al di sotto dei 25 anni, 9 mila sono quelli italiani: le assunzioni di ragazzi nel resto del continente non hanno compensato i giovani disoccupati in più italiani. Ma soprattutto i dettagli forniti dall’Istat sull’occupazione dimostrano l’esatto contrario di quanto dice Di Maio. Per valutare gli effetti del decreto cosiddetto “dignità” bisogna vedere la composizione dei nuovi contratti: a dicembre ci sono stati 23 mila occupati in più, frutto dell’aumento degli autonomi (più 11 mila) e dei contratti a termine (più 47 mila), mentre i contratti a tempo indeterminato – che erano l’obiettivo del decreto dignità – sono stati 35 mila in meno.

 
Dunque il decreto simbolo del vicepremier 5 stelle sta ottenendo l’effetto opposto: le imprese non hanno trasformato né aumentato i contratti a tempo indeterminato, ma li hanno ridotti, ricorrendo a quelli a termine. Parallelamente, per il 2019, la flat tax al 15 per cento per le partite Iva con ricavi fino a 65 mila euro produrrà una migrazione dei contratti subordinati verso il regime autonomo. Il che avrà effetti, oltre che sulla stabilità dei posti di lavoro, anche sui versamenti previdenziali. Fenomeni già in atto secondo l’Istat: “A dicembre si conferma un quadro di debole crescita dell’occupazione, ma il leggero incremento è di nuovo dovuto a un aumento dei dipendenti a termine più ampio della flessione dei permanenti, a cui si aggiunge una lieve ripresa degli autonomi. Né la diminuzione dell’occupazione per il secondo mese consecutivo è sufficiente ad evitare un aumento della disoccupazione nella media del quarto trimestre”.

 

A peggiorare le prospettive per il 2019 sono poi il quadro complessivo dell’economia, il clima di fiducia delle aziende e la pensione con quota 100 voluta dalla Lega. La recessione sancita dal secondo trimestre consecutivo di decrescita avrà un effetto si trascinamento già acquisito per l’anno in corso di altri due decimali negativi. E le stime di Banca d’Italia, Confindustria e altri istituti per l’avvio del 2019 fanno presagire uno o due ulteriori trimestre di calo del pil, quindi della produzione e dei posti di lavoro. Così come una recessione con due trimestri consecutivi negativi mancava dall’Italia dal 2013, la fiducia delle imprese rilevata dall’Istat per il mese di gennaio è scesa ai minimi da agosto 2016: l’indice è calato di mezzo punto, a 99,2, andamento che dura da luglio 2018.

 
Come si tradurrà tutto questo sui posti di lavoro? Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, parla di “crollo della produzione a partire da novembre 2018” e di “disagio fortissimo tra gli imprenditori lombardi per il clima anti industriale di questo governo”. Se nel 2018 in Lombardia un’impresa su due ha aumentato il fatturato, per il 2019 solo una su tre si aspetta risultati positivi. A Milano il 20 per cento ha messo in conto un calo della produzione, e la Cgil milanese denuncia un’inversione di tendenza negli avviamenti al lavoro rispetto agli ultimi 5 anni. Ma anche quota 100 rappresenta una minaccia.

 
E a dirlo è proprio un esperto vicino alla Lega, Alberto Brambilla, capo del think thank Itinerari previdenziali: “Nel triennio non si pensioneranno più di 400-450 persone – scrive in un focus di due giorni fa – meno della metà del milione annunciato dal governo. E’ evidente anche a un neofita, diversamente andrebbe in tilt l’intero sistema”. L’analisti è critica su tutta la linea, compreso il divieto di cumulo dei redditi una volta in pensione (“umiliante per quanti vorrebbero ancora partecipare al processo produttivo”) e i costi “di almeno 40 miliardi”. Ma soprattutto tramonta la promessa di Matteo Salvini che per ogni pensionato anticipato ci saranno due o tre assunzioni tra i giovani. La pubblica amministrazione dovrà fronteggiare i tagli di spesa conseguenti alla recessione e ha già un blocco alle nuove assunzini. Quanto ai privati, dice Bonomi, “è probabile che le aziende ne approfitteranno per smaltire personale in attesa di tempi migliori”.

Di più su questi argomenti: