Ecco perché la recessione non è “tutta colpa della Germania”
La domanda interna è diminuita nel quarto trimestre del 2018 a causa delle politiche del governo. Il calo del pil ce lo siamo fabbricati in casa
Nel quarto trimestre del 2018 il prodotto interno lordo italiano è diminuito dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. Un calo di questa entità non capitava dal quarto trimestre 2013. E siamo anche entrati “tecnicamente” in recessione (cioè con il pil in flessione da almeno due trimestri consecutivi), come già anticipato giovedì alla Borsa di Milano dal premier Conte, autodefinitosi “fra Martino campanaro” senza però portare nessuna buona novella. Anzi. Il governo italiano sta ora cercando di arrampicarsi sugli specchi dando la colpa del calo del pil alla crisi della Germania e al suo impatto negativo sul nostro export. Ma non è così, almeno per il momento. Infatti, come certifica l’Istat, nel terzo trimestre 2018 la domanda estera netta aveva dato un contributo positivo al pil dello 0,1 per cento e lo ha dato positivo anche nel quarto trimestre (sebbene per ora non quantificato).
Dunque, se la nostra economia è arretrata congiunturalmente dello 0,1 per cento nel terzo trimestre e ora dello 0,2 per cento nel quarto trimestre dello scorso anno, la Germania c’entra abbastanza poco. Mentre le vere cause della nuova recessione in cui siamo inopinatamente piombati sono da ricercarsi nell’aumento dello spread e dei tassi, nell’erosione dei valore dei risparmi investiti in azioni e titoli, nelle incertezze sulle scelte di politica economica che hanno fatto crollare la fiducia e gli investimenti delle nostre imprese e paralizzato la spesa delle famiglie italiane, nonché nel blocco sconsiderato delle opere pubbliche. D’altronde, basta guardarsi attorno per capire che i nostri guai non dipendono dai tedeschi. Anche la Francia sta in Europa esattamente come noi ed esporta in Germania, ma il suo pil nel quarto trimestre è cresciuto ancora dello 0,3 per cento. E ciò nonostante i gilet gialli…
Sicuramente il calo degli ordini dell’industria dell’auto tedesca ha depresso gli animi di molti imprenditori del nord Italia abituati alle vacche grasse degli anni precedenti. Ma per intanto il calo del nostro pil è dovuto esclusivamente a un corto circuito della domanda interna italiana. Lo dicono i numeri. Infatti, già nel terzo trimestre 2018 i consumi delle famiglie si erano bloccati, dando un contributo leggermente negativo alla crescita del prodotto rispetto al secondo trimestre. Mentre gli investimenti fissi lordi si erano letteralmente piantati, contribuendo negativamente addirittura per un rotondo meno 0,2 per cento al pil. Quest’ultimo, in cifre, era diminuito di 495 milioni di euro rispetto al secondo trimestre, ma gli investimenti fissi lordi da soli erano crollati di ben 796 milioni, di cui meno 837 milioni attribuibili ai soli macchinari.
Parallelamente, i consumi delle famiglie, che ancora nei primi sei mesi dello scorso anno erano aumentati di oltre un miliardo di euro rispetto al quarto trimestre 2017, nel terzo trimestre 2018 sono diminuiti di 190 milioni (era dal primo trimestre del 2014 che i consumi non flettevano). Adesso apprendiamo dall’Istat che anche nel quarto trimestre, mentre la domanda estera netta ha fornito ancora un contributo positivo al pil, quella interna lo ha nuovamente depresso. E lo ha fatto ancora più fortemente di quanto non fosse già avvenuto nel trimestre precedente. In sostanza, il cambiamento promesso dal governo gialloverde c’è stato. Ma certamente in peggio per quanto riguarda l’economia. E scaricare la colpa della frenata del nostro sistema produttivo sulla Germania è un trucchetto piuttosto modesto per sviare l’attenzione dei commentatori e dell’opinione pubblica dalla confusionaria politica economica che in pochi mesi è riuscita a bloccare il motore della nostra crescita.
Quest’ultima, come abbiamo già avuto più volte occasione di ricordare, si era basata nel triennio 2015-2017 sul felice connubio tra una robusta ripresa dei consumi delle famiglie (più 1,7 per cento il tasso medio annuo composto di aumento della spesa pro capite, contro un più 1,1 per cento in Germania e Francia) e un autentico boom degli investimenti delle imprese in macchinari e mezzi di trasporto (più 6,7 per cento il tasso medio annuo composto di crescita in Italia, più del doppio della Germania!). Adesso questi due cavalli che avevano trainato la nostra ripresa sono stati letteralmente azzoppati. E se anche l’export comincerà a calare saranno dolori ancora più forti.
Il 2019 eredita una crescita acquisita del pil negativa dello 0,2 per cento. Inutile farsi illusioni. Non ci sarà nessun boom economico quest’anno. II reddito di cittadinanza non riuscirà a compensare il calo dei consumi privati già in atto. Mentre aver cancellato il super-ammortamento sugli investimenti in macchinari è stato un errore clamoroso. Solo ripristinando al più presto questa misura mantenendo in essere l’iper-ammortamento e spingendo a tutta forza sulle opere pubbliche (M5s permettendo) si potranno limitare i danni. Ed evitare che saltino anche tutti gli obiettivi di finanza pubblica, che ancora si basano su uno utopistico aumento del pil dell’1 per cento nel 2019.