Mimmo Parisi. Foto LaPresse

Incompatibilità e conflitto d'interessi per il prof. del Mississippi

Luciano Capone

Mimmo Parisi non può essere contemporaneamente presidente dell'Anpal e docente alla Mississippi State University, ma nessuno ancora pare averci pensato. Stallo anche sul problema dell'app 

Roma. “Vorrei presentavi la persona che si è inventata i navigator, sarà il capo dell’Anpal, ha accettato di tornare in Italia e di darci una mano”, così lo aveva annunciato dal palco il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, durante uno dei tanti eventi pubblicitari del reddito di cittadinanza, quello del 22 gennaio. In realtà non è ben chiaro se Mimmo Parisi, sociologo alla Mississippi State University, abbia realmente intenzione di tornare in Italia – almeno a tempo pieno – e proprio questo, infatti, è un ostacolo alla sua nomina al vertice dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.

     

Il professore “italo-pugliese”, così lo aveva definito Di Maio, è infatti molto legato alle sue attività alla Mississippi State University, dove è docente di sociologia e direttore del “National strategic planning and analysis research center” (Nsparc), un centro da lui fondato e diretto da oltre dieci anni. Ma questi incarichi sono incompatibili con la presidenza di Anpal il cui statuto, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, dice chiaramente all’articolo 5 che il ruolo di presidente “è incompatibile con altri rapporti di lavoro subordinato pubblico o privato, nonché con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo, anche occasionale, che possa entrare in conflitto con gli scopi e i compiti dell’Anpal”. La ratio della norma statutaria è che a capo dell’Anpal ci debba essere una persona completamente dedicata all’agenzia, senza altri incarichi che sottraggono tempo ed energie. La questione è facilmente risolvibile, basta chiedere l’aspettativa alla propria università, come ad esempio ha fatto l’attuale presidente di Anpal Maurizio Del Conte con la Bocconi. Ma il problema è proprio questo: Mimmo Parisi non vuole affatto rinunciare ai suoi incarichi in America, che sono per lui molto più importanti – e probabilmente redditizi – dei navigator italiani. Non è un caso se, proprio nelle settimane decisive di attuazione del reddito di cittadinanza, il professore è in America anziché allo show con cui Di Maio ha presentato la tessera “numero uno” .

   

Cosa intende fare Parisi? Chiede l’aspettativa? “Non rilascio commenti, parlate con il ministero”, dice dagli Stati Uniti il professore al Foglio. Dal ministero fanno sapere che l’incompatibilità “al momento non è emersa e nessuno l’ha opposta” e che “di aspettativa non se n’è proprio parlato: è una valutazione che si farà se si presenterà il problema”.

    

In realtà dell’argomento se n’è parlato molto, perché a Parisi nessuno aveva detto dell’incompatibilità (l’ha scoperto in audizione alla commissione Lavoro da Tommaso Nannicini del Pd) e non sembra intenzionato a rinunciare agli incarichi americani, con il rischio che la sua nomina subisca uno stop. Perché, prima del perfezionamento, la nomina di Parisi deve passare il vaglio della Corte dei Conti e poi del Presidente della Repubblica. Adesso il dossier è nelle mani della magistratura contabile che, prima del Quirinale, ha il compito di verificare la regolarità della nomina ed eventualmente sospenderla o condizionarla alla messa in aspettativa.

    

Ma oltre all’incompatibilità, c’è anche una questione di conflitto d’interessi. Di Maio ha annunciato che i navigator utilizzeranno una app, come quella usata in Mississippi, per far incrociare domanda e offerta di lavoro. Il software adoperato nello stato americano è stato sviluppato ed è di proprietà del Nsparc, il centro di ricerca della Mississippi State University gestito proprio da Parisi. Se davvero il governo avesse intenzione utilizzare l’app del Mississippi vorrebbe dire che lo stato italiano (attraverso una delle sue articolazioni) si troverebbe a dover acquistare un servizio dal Nsparc di Parisi per farlo gestire all’Anpal di Parisi. Su questo punto dal ministero dicono che nulla è stato definito, che si potrebbe anche pensare di sviluppare una app simile, “magari riprodotta”. Ma se così fosse Parisi si troverebbe a usare una app taroccata e, da proprietario di quella originale, sarebbe costretto a fare causa a se stesso.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali