Gli imprenditori dell'energia in piazza con i lavoratori contro l'ideologia No Triv
Importanti per il paese, inascoltati da Luigi Di Maio. Cronaca dalla manifestazione dei “caschi gialli”
Roma. Gli imprenditori italiani e stranieri del settore petrolifero e gasiero nazionale hanno manifestato per la prima volta nella storia insieme ai lavoratori per protestare contro il decreto soprannominato “blocca trivelle”, promosso dal Movimento 5 stelle al governo in coalizione con la Lega, perché comporterà la perdita di investimenti miliardari e di migliaia di posti di lavoro nei prossimi anni ma finora non sono stati ascoltati dalle autorità politiche per discutere modifiche.
Con in testa i “caschi gialli”, quelli usati per sicurezza dagli operai sulle piattaforme petrolifere, in opposizione ideale con la violenta protesta francese dei “gilet gialli” usati invece per le emergenze in strada, circa duemila persone da Emilia-Romagna, Abruzzo, Basilicata, Puglia, Campania e Sicilia hanno sfilato dalla centrale piazza Repubblica a Roma per arrivare in Piazza San Giovanni, dove si è tenuta la manifestazione unitaria dei sindacati confederali #FuturoAlLavoro insieme ad altre sigle.
La norma contenuta nel dl Semplificazioni prevede 18 mesi di tempo per stabilire in quale aree del paese si può estrarre e in quali è vietato, impatterà su 39 progetti estrattivi con le imprese che nel frattempo attenderanno l’esito della ricognizione. Inoltre non è più scontato che la concessione possa essere rinnovata una volta arrivata a scadenza, rendendo quindi meno attraente investire nel lungo periodo. Il blocco delle attività per i giacimenti italiani può potenzialmente comportare la perdita di investimenti fino a 2 miliardi di euro con il conseguente calo dell’estrazione di metano che comporterebbe una perdita di incassi per stato ed enti locali (tra tasse, royalties e contributi) fino a 500 milioni di euro con un rischio disoccupazione per 20 mila lavoratori del settore Oil&gas.
“E’ la prima volta che vengo in piazza con un gruppo cosi grande. Oggi stiamo accanto alla nostra gente, ai nostri lavoratori, perché questa è la loro battaglia. Siamo fianco a fianco per cercare di fare business in Italia”, dice al Foglio Sioux Sinnott, presidente di AleAnna del gruppo americano AleAnna Resources (foto sotto), che è concentrata in Pianura Padana e ha due progetti di estrazione di gas nel Mar Adriatico e uno di petrolio nel Mar Ionio. “Siamo in Italia da molto tempo, circa dodici anni, e abbiamo attraversato diversi governi e affrontato diverse battaglie. Ci sono troppe procedure burocratiche che richiedono troppo tempo dal governo e adesso il governo ha intenzione di sospendere le nostre attività e mi chiedo quali saranno le conseguenze per l’Italia”.
Sinnott ha quarantatré anni di esperienza manageriale nel settore e dice di avere grandi difficoltà a spiegare negli Stati Uniti cosa accade in Italia. “L’Italia è come un ottovolante: non è adatta a un investitore estero perché è instabile. Quando [gli investitori] chiedono rispondo loro che spero che questo nono governo in otto anni passerà, ma nel frattempo dobbiamo lavorare con loro. Non siamo qui contro questo governo ma siccome il settore energetico è in mano all’autorità centrale siamo qui perché crediamo in un piano sostenibile per l’energia in Italia e non pensiamo che il percorso scelto sia sostenibile, serve solo ai voti. Dobbiamo parlare, metterci attorno a un tavolo per costruire”.
Antonio Pica (foto sopra), geologo di professione e ora consulente anche dell’inglese Delta Energy, la quale ha sei istanze di permesso di ricerca di idrocarburi in in Campania, in Puglia, in Basilicata. Pica ha quarant’anni di esperienza da dirigente per società petrolifere spesa con investitori esteri da Londra al Vietnam. “Questo decreto è stata la goccia su burocrazia e incertezza di lungo periodo. La settimana scorsa ceravo di spiegare la situazione politica [a Londra] ma fanno fatica a capire quello che sta succedendo in questo momento e si chiedono come mai un settore così importante per l’economia viene penalizzato dal governo così pesantemente. Molti, anche grandi fondi di investimento, hanno cominciato a ripensare a investire in Italia ed è un dato di fatto che si stanno allontanando. La reputazione nazionale è sottoterra: questo paese non è più affidabile soprattutto con un provvedimento come questo che cambia le regole del gioco per società che hanno progetti avviati o in fase di avviamento e li vedono messi a rischio”.
La motivazione del Movimento 5 stelle, che ha costruito parte del suo consenso popolare su moti protestatari come i No Triv (contro le “trivelle”), è ambientale in quanto sostiene sia preferibile spostare le attività di ricerca e estrazione di idrocarburi altrove, lontano dall’Italia. Giampiero Saini (foto sotto), amministratore delegato della società petrolifera siciliana Irminio Srl, contrasta questa retorica ultimamente portata avanti dal senatore del M5s, Gianluca Castaldi, mentre si tengono le elezioni regionali in Abruzzo dove è stato eletto. Castaldi aveva lanciato un’invettiva contro le “multinazionali” del petrolio che “si portano via i soldi” e hanno “minacciato” ricorsi per l’emendamento “trivelle”. Saini aveva risposto con una lettera puntuale [che pubblichiamo qui] e al Foglio spiega come mai la retorica grillina è falsa e malriposta perché le imprese che lavorano sono italiane, non portano via i soldi ma fanno profitti e li distribuiscono e vedono minacciati i loro diritti a rinnovare i permessi di estrazione per l’emendamento al decreto Semplificazioni. “Vado orgogliosamente in piazza con i lavoratori per difendere i nostri diritti e quello dell’intero paese per un futuro migliore, di usare le proprie risorse e non di regalarsi a importazioni e a paesi esteri”. L’Italia importa il 90 per cento dell’energia dall’estero e consuma solo il 10 per cento di quella prodotta sul territorio nazionale. “Siamo stanchi di subire attacchi non giustificati e non argomentati basati su ideologia pura e siamo pronti a dimostrare quello che facciamo e come lo facciamo – dice Saini – importare dall’estero vuol dire aumentare i rischia ambientali, vuol dire fare muovere nei nostri mari una petroliera che porta olio, questo provvedimento nulla stabilisce in merito alla transizione energetica, non stanzia un euro, e non ha nulla a che vedere con l’ambiente”.
Il provvedimento prevede che quando verranno completate le verifiche sulle aree dove possono esserci attività la produzione potrà continuare fino alla scadenza naturale senza diritto a ulteriori proroghe che prima erano concesse. Nel caso di Irminio, per esempio, significa che nel gennaio 2022 dovrà smettere di lavorare e licenziare i suoi 25 dipendenti. Lo stesso vale per gli altri operatori e non sono da escludere cause legali milionarie da parte delle compagnie interessate che sono decine dalle più grandi come Eni, Shell, Total, Edison, a molte aziende di varie dimensioni come quelle sentite in questo articolo AleAnna, Irminio e Delta Energy e poi Audax Energy, Po Valley, Pengas, Northsun, Appennine e Pxog Marshall che riunite avevano pubblicato sui quotidiani filo-governativi La Verità e Il Fatto Quotidiano un manifesto chiedendo un “dialogo sereno” e avvertendo che un blocco delle attività (definito “esproprio”) può “colpire tutti i cittadini italiani” e “il nostro settore che dà lavoro a migliaia di persone”. Da allora non sono stati ascoltati.
Gianni Bessi (terzo da destra nella foto sotto), consigliere regionale dell’Emilia-Romagna per il Pd, ha organizzato la protesta dei “caschi gialli” sui social network e poi in strada a Roma e critica il totale diniego di Luigi Di Maio, vicepremier del M5s e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, ad incontrare lavoratori e imprese. “Il ministro del Lavoro dovrebbe incontrare i lavoratori non l’ha mai fatto a nessun livello. Non ha risposto alle imprese e agli enti locali che hanno chiesto di fronte al dl Semplificazioni di portare il loro contributo. Sia da Ravenna sia dalla Regione Emilia-Romagna sono pervenute al ministro richieste di incontri. I lavoratori di Ortona avevano chiesto altrettanto faccia a faccia e Di Maio ha risposto via Ansa dicendo che sono strumentalizzati dalle multinazionali”.
La filiera gasiera ravennate impiega circa 5 mila persone per 50 imprese sia multinazionali sia di media e piccola stazza anche nel settore della meccanica. La Fratelli Righini produce macchine per l’attività di estrazione e le vende in tutto il mondo. Renzo Righini ricorda che al presidente del Consiglio Conte e al ministro Di Maio è stato mandato l’invito per Offshore Mediterranean Conference & Exhibition di Ravenna [un’esposizione internazionale del settore estrattivo] in aprile ma “purtroppo non abbiamo ancora avuto risposte”. “E’ la prima volta che vado a una manifestazione, ho fatto il liceo nel ‘68 e nemmeno allora ero sceso in piazza, forse è un segno che ci sono situazioni di estrema difficoltà. Un decreto che colpisce fortemente un settore che ha portato sviluppo all’Italia, portato benessere e tecnologia, da noi e in tutto il mondo ci sta portando in difficoltà più di prima. E penso che il settore non lo meriti perché non ha mai creato disastri in Italia e invece ha creato occupazione e distribuito ricchezza”.
Intanto i “caschi gialli”, mentre camminano verso Piazza San Giovanni, dove si tiene per tradizione la festa del primo maggio, urlano in coro “Di Maio spegni la stufa!” per ricordare al ministro che senza di loro nemmeno lui avrebbe modo di scaldarsi o di cucinare.
(foto e video Alberto Brambilla)