Girano idee bizzarre e pericolose sull'oro della Banca d'Italia
Cedere i lingotti per evitare le clausole di salvaguardia è una follia, sarebbe come vendere la casa per pagarsi le vacanze
Forse non tutti sanno che varie banche centrali stanno acquistando oro. La Banca centrale russa, ad esempio, nel 2018 ha dichiarato di aver acquistato 230 tonnellate di oro, che si sono sommate alle 224 tonnellate acquistate nel 2017, alle 199 tonnellate comprate nel 2016 e alle 208 tonnellate nel 2015. Al momento qualcuno stima che la Banca centrale russa abbia 2.037 tonnellate di oro come riserve. La Banca centrale della Mongolia ha acquistato, nel 2018, 18 tonnellate di oro; la Banca centrale dell’India ha acquistato 8,1 tonnellate. La Banca centrale della Polonia ha di recente acquistato 13,7 tonnellate d’oro. La Cina è tra i più grandi acquirenti di oro. La Banca centrale cinese ne accumula da anni: le riserve d’oro nei forzieri della Banca centrale cinese sono infatti quadruplicate dai primi anni 2000 a oggi, passando da circa 400 tonnellate nel 2001 a oltre 1.800 tonnellate. Possedere ingenti quantità di oro sarebbe parte della strategia di Pechino di consolidare lo yuan come valuta di riserva internazionale.
In Italia, invece, ancora una volta, ci sono richieste provenienti da forze al governo per una vendita dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia. Siamo spesso un paese controcorrente. Nel nostro paese si parla di cedere l’oro della Banca d’Italia quasi come se si trattasse di vendere barattoli di conserva di pomodoro. L’Italia per ragioni storiche detiene 2.452 tonnellate d’oro e rappresenta il quarto paese al mondo per entità dell’oro posseduto, dopo Stati Uniti, Germania e Fondo Monetario internazionale. Con l’adesione al Sistema europeo delle Banche Centrali (le banche centrali degli stati membri dell'Ue più la Bce), la libertà di utilizzo di questo oro è stata regolamentata dai Trattati europei.
L’oro è di Bankitalia (quindi dei cittadini italiani) e in nessun modo il governo potrebbe imporle
di metterlo sul mercato. L’idea di usarlo per finanziare la spesa pubblica violerebbe i Trattati, come già spiegò la Bce di Trichet a Tremonti. E la paura che gli “azionisti privati”
possano impossessarsene è senza fondamento
Per le sue caratteristiche e per le sue funzioni specifiche, l'oro può essere utilizzato dalle banche centrali per diversi motivi: l'acquisto o la vendita possono essere effettuati sia per scopi finanziari, sia per variare il livello delle riserve; l'oro può essere poi dato in deposito per ricavare un reddito e infine può essere utilizzato come garanzia per ottenere dei prestiti sul mercato. In generale, l’oro è parte dei presidi di garanzia della solvibilità esterna del paese. Nel 1976, ad esempio, in un momento di grave difficoltà finanziaria il governo italiano negoziò con il governo tedesco un prestito in marchi che venne concesso a fronte di una garanzia costituita da una parte delle riserve auree della Banca d’Italia.
Vanno chiariti a questo proposito alcuni punti, banali ma visto il dibattito in corso, necessari. L’oro è di proprietà della Banca d’Italia, che tuttavia è un’istituzione al servizio della nazione e quindi in ultima istanza l’oro è dei cittadini italiani che ne affidano la gestione alla Banca d’Italia. I Trattati dell'Ue fanno sì tuttavia che le decisioni in merito all’oro possano essere prese solo dalla Banca d’Italia: nessuna legge potrebbe imporle di vendere l’oro, sia chiaro. La stessa Banca centrale europea ha più volte chiarito che un simile provvedimento sarebbe lesivo dell’autonomia della Banca d’Italia, in particolare della sua autonomia patrimoniale.
Non solo, ma l’ipotesi di vendita dell’oro per finanziare la spesa pubblica rappresenterebbe una violazione dell’art. 123 del Trattato che proibisce il finanziamento monetario dei governi da parte della Banche centrali. Anche una tassazione delle ipotetiche plusvalenze sul valore dell’oro in bilancio della Banca d’Italia sarebbe una violazione dei Trattati, come già spiegò l'ex presidente della Bce Jean-Claude Trichet al ministro dell'Economia Giulio Tremonti che a suo tempo ragionava su una simile proposta per rastrellare qualche miliardo di euro.
Vi è chi sostiene che potrebbe esserci il rischio che i cosiddetti “azionisti” della Banca d’Italia, vale a dire le banche private e gli altri investitori istituzionali che detengono le quote rappresentative del capitale di Via Nazionale, potrebbero un giorno decidere loro di vendere l’oro e quindi di impossessarsi di tale ricchezza dei cittadini. Si tratta di una paura a dir poco senza senso. Lo Statuto della Banca d’Italia è molto chiaro sui diritti e i poteri degli azionisti. Essi non hanno alcun potere sulle funzioni istituzionali: politica monetaria, attività di vigilanza, sistemi di pagamento etc. Il potere di influenza dei partecipanti al capitale sulle decisioni della Banca d’Italia è sostanzialmente nullo. I cosiddetti “azionisti” partecipano alla nomina dei membri del Direttorio, ma solo su proposta del Governatore; e hanno diritto a una fetta molto limitata degli utili della Banca d’Italia (6 per cento del capitale), con un ulteriore limite massimo del 3 per cento per ogni partecipante (oltre il quale non spettano dividendi). Punto. Impensabile che possano vendere l’oro.
Posto che non sia possibile imporne la vendita, ma di cosa stiamo parlando? L’oro della Banca d'Italia vale circa 87 miliardi di euro. Si tratta di patrimonio. Vendere patrimonio per evitare le clausole di salvaguardia previste nella legge finanziaria sarebbe davvero una follia. Sarebbe come vendere la propria casa per finanziare le vacanze. Vendere per abbattere il debito pubblico? Parliamo di 87 miliardi a fronte di un debito di 2.300 miliardi. L’effetto sarebbe a dir poco limitato. Un paese ad alto debito che vende l’oro rischia però di segnalare una situazione di grave difficoltà, con un aumento conseguente dello spread.
Certo l’oro non può essere un tabù. Si potrebbe avviare una riflessione seria sul tema. Trovare un modo compatibile con i Trattati per valorizzarlo a fini di sviluppo economico. La proposta più sensata è quella di proporre la costituzione di un Fondo monetario europeo, al quale versare parte dell’oro di ciascuna banca centrale. Un Fme preposto al finanziamento di grandi opere infrastrutturali, di piani di sviluppo per la riconversione dei settori produttivi in crisi irreversibile etc. Questo dovrebbe essere un progetto da condividere con gli altri paesi europei, con la Commissione europea e con il Sistema europeo della banche centrali. Sarebbe un modo sensato per scongelare quelle tonnellate d’oro oggi in eccesso rispetto alle necessità di stabilità monetaria del nostro paese.
*Sandro Trento, economista, Università di Trento