Il bancocentrismo è arrivato al limite. Parola del governatore Visco
Per controbilanciare l’esposizione delle aziende nei confronti delle banche ci sarebbe bisogno di un mercato dei capitali efficiente. E invece gli investimenti privati restano deboli
Roma. Spesso si parla del crollo che hanno subito gli investimenti pubblici in Italia, ma nessuno ricorda che quelli privati hanno subito un calo che dal 2007 al 2013 è stato del 30 per cento, e che sono ancora oggi largamente inferiori ai livelli pre-crisi. Non è un caso che il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, abbia voluto sottolineare questo dato intervenendo mercoledì a Milano al convegno organizzato dall’università Bocconi con il gruppo Equita sul mercato dei prestiti obbligazionari, che nel 2018 ha visto una riduzione in termini di volumi pari al 79 per cento con 85 emissioni rispetto alle 140 registrate nel 2017.
Considerato che a causa delle condizioni di incertezza e del persistere di uno spread elevato il mercato del debito stenta a ripartire, non è difficile prevedere che gli investimenti privati sono destinati a subire un’ulteriore contrazione in futuro. Eppure, come ha sottolineato Visco, è proprio di un mercato dei capitali efficiente che ci sarebbe bisogno per controbilanciare l’esposizione delle aziende nei confronti del sistema bancario, che in proporzione in Italia è più elevata che nel resto dei paesi occidentali. Visco in Bocconi ha anche presentato il suo nuovo libro “Anni difficili” (il Mulino, 2018) ma ha evitato di rispondere alle domande dei giornalisti che lo incalzavano sulla questione delle nomine in Bankitalia, partita che, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbe essere sbloccata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la firma del decreto per la conferma del vice direttore Luigi Federico Signorini anche senza il parere del governo. Nel suo volume il governatore ripercorre il periodo che va dalla crisi finanziaria (2007-2008) alle nuove sfide dell’economia che, a suo avviso, l’Italia dovrebbe cogliere per buttarsi alle spalle la pesante eredita degli ultimi anni anni. Come? Consolidando il potenziale di crescita, rimuovendo gli ostacoli all’attività di impresa, all’innovazione, alla corretta allocazione dei capitali.
Ma le condizioni di contesto rendono difficile questo salto di qualità. “Il crollo degli investimenti privati, al quale si è accompagnato quello non meno grave degli investimenti in infrastrutture e altre opere pubbliche, ha reso manifesta la difficoltà del nostro sistema produttivo di rispondere alle sfide poste dalla globalizzazione, dalla straordinaria affermazione di nuove tecnologie, dagli andamenti demografici, ha detto Visco, che nel suo libro esorta a “operare tutti, in Italia e in Europa, per costruire con equilibrio e lungimiranza un sistema migliore”. Il rapporto tra il mondo della produzione e quello del credito è essenziale. “L’eccessiva dipendenza delle imprese dalle banche e il ruolo preponderante del debito rispetto al capitale di rischio sono problemi di lunga durata dell’economia italiana e rappresenta un fattore di estrema fragilità del sistema finanziario”, ha spiegato Visco ricordando che per fornire liquidità all’economia le banche commerciali operano con “un elevato grado di leva” e che i loro bilanci si caratterizzano “per una durata del passivo più breve di quella dell’attivo”.
La capacità di assorbire rischi da parte del sistema bancario è quindi limitata, e anche la possibilità di finanziare gli investimenti più innovativi, quelli a più lungo termine o di grandi dimensioni e quelli in beni intangibili. “I mercati finanziari e gli altri intermediari specializzati consentono invece di frazionare le grandi esposizioni tra un numero elevato di investitori, facilitando l’offerta di capitale di rischio e favorendo, per questa via, il rafforzamento patrimoniale delle imprese”. A partire dal 2013 c’è stata una svolta e in quattro anni il ricorso al mercato è cresciuto del 40 per cento rispetto ai cinque anni precedenti. Peccato che da luglio 2018 il quadro sia cambiato, con un vero crollo delle operazioni conseguente all’impennata dello spread.