Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini presentano la manovra finanziaria a Palazzo Chigi (Foto Imagoeconomica)

Per l'Italia una nuova crisi sarebbe peggiore rispetto a quella del 2011

Guido Tabellini

La crescita latita, il debito cresce, le banche soffrono e oggi l’Italia non è parte di un problema: è il problema

L’economia è in recessione, le tensioni politiche all’interno della maggioranza stanno salendo, si preannuncia un aspro scontro con l’Europa sulla prossima legge di bilancio, lo spread BTP-Bund rimane pericolosamente vicino a 300 punti base. Cosa ci aspetta nel prossimo futuro? Nessuno lo sa, meno che mai i politici che ci hanno portato in questa situazione. Tuttavia, è possibile stabilire alcuni punti fermi. Primo, la recessione continuerà anche nel trimestre in corso. Saremo fortunati se la crescita media nel 2019 sarà sopra lo 0, ma al momento questo pare improbabile. La recessione in corso è in parte dovuta a un rallentamento generalizzato di tutta l’Europa, ma in misura più consistente è stata causata dalla caduta della domanda interna.

 

L’incertezza sulla sostenibilità del debito pubblico e sugli scenari politici, uniti alla stretta creditizia indotta dall’ampliarsi dello spread, hanno bloccato gli investimenti. Questi fattori sono destinati ad aggravarsi, e presto la recessione comincerà a incidere anche sui consumi. Secondo, il debito pubblico continuerà a crescere. Il governo Gentiloni aveva lasciato in eredità un avanzo primario (cioè al netto degli interessi) di circa l’1,5 per cento del reddito nazionale. Non abbastanza per arrestare la crescita del debito, ma non lontano da ciò che sarebbe stato necessario. L’aumento della spesa corrente, attuato dal governo con il miope benestare dell’Europa, ha di fatto azzerato l’avanzo primario.

 

Per arrestare la crescita del debito, in autunno occorrerebbe una manovra del 2-3 per cento del reddito nazionale, a seconda dell’evoluzione dell’economia e di quanto aumenterà la spesa corrente. Impensabile nell’attuale situazione politica. Terzo, stando così le cose, è difficile pensare che si possa arrivare alla prossima legge di bilancio senza prima essere passati attraverso nuove elezioni nazionali. La Lega vorrà incassare il consenso di cui attualmente gode prima di un nuovo scontro con l’Europa e prima di affrontare le scelte impopolari che aspettano il governo in autunno. Tuttavia, è difficile prevedere quale maggioranza si formerebbe dopo nuove elezioni, e con quali priorità. L’incertezza politica è destinata a salire, e ciò contribuirà a rallentare l’uscita dalla recessione.

 

Come reagiranno i mercati finanziari a questa situazione di così forte incertezza? È impossibile prevedere se e quando ci sarà una nuova crisi finanziaria, e quali ne sarebbero gli esiti. Tuttavia, la prospettiva di nuove elezioni non è necessariamente una cattiva notizia per i mercati finanziari, perché è difficile immaginare un governo peggiore di questo per le prospettive dell’economia. Inoltre, le crisi finanziarie tipicamente arrivano in un contesto internazionale sfavorevole, di stretta monetaria o di recessione generalizzata. Al momento la situazione internazionale non presenta questi rischi, sebbene non sia priva di incognite.

Una cosa comunque è certa. Se l’Italia fosse colpita da una nuova crisi finanziaria, sarebbe molto peggiore rispetto a quella del 2011-12. Allora si è trattato di una crisi generalizzata di fiducia e di liquidità, nata altrove, e che ha colpito il nostro paese insieme a molti altri. Questa volta invece la crisi scoppierebbe perché il debito pubblico italiano è ritenuto insostenibile, per via dei nostri fondamentali economici e politici. Ci troveremmo subito isolati, in una situazione non diversa da quella della Grecia nella crisi precedente, e nell’ipotesi migliore finiremmo sotto il commissariamento del Meccanismo Europeo di Stabilità.

 

Vi è anche una seconda importante differenza tra il 2011 e oggi. Il nostro paese è ora molto più fragile, dal punto di vista economico e politico. Una fragilità importante riguarda il sistema bancario. Nel 2008 le banche italiane detenevano una quota di debito pubblico nazionale pari a circa il 5 per cento del loro attivo. Oggi questa proporzione è raddoppiata. Forse anche perché spinte dalle autorità monetarie, negli anni della crisi le banche italiane hanno acquistato molto del debito pubblico che gli investitori esteri non volevano più tenere. Ciò ci ha aiutato a uscire dalla crisi passata, ma ha reso le banche molto più vulnerabili.

 

Qualche numero può aiutarci a capire la fragilità delle banche nell’eventualità di una crisi sul debito. Immaginiamo che, nell’ipotesi catastrofica di una nuova crisi finanziaria, il nostro debito pubblico sia ristrutturato e venga rimborsato solo il 60 per cento del suo valore nominale. Questa frazione non è implausibile, alla luce di esperienze passate di altri paesi. Vista la quantità di titoli pubblici che ha in bilancio, il sistema bancario non riuscirebbe a sopravvivere a questo evento. Quanto è probabile che ciò possa accadere? Lo spread sui nostri titoli di stato ci dice come i mercati finanziari valutano questo rischio su diversi orizzonti temporali.

 

La risposta non è rassicurante: da diversi mesi i mercati attribuiscono una probabilità di circa il 25 per cento all’evento che, entro i prossimi 5 anni, il nostro debito venga ripagato solo al 60 per cento del valore nominale. A questo calcolo si giunge osservando che, su una scadenza di 5 anni, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e tedeschi è di circa il 2,15 per cento, e ipotizzando che gli investitori vogliano eguagliare il rendimento atteso alla scadenza di questi due strumenti. Se pensiamo che una eventuale ristrutturazione del debito sarebbe associata a un rimborso del valore nominale superiore al 60 per cento, la probabilità attribuita dai mercati alla ristrutturazione è ancora più alta. E’ molto difficile dire se questa valutazione del rischio sia corretta oppure no. Ma il 25 per cento non è una probabilità che possiamo trascurare a cuor leggero.

 

Queste valutazioni portano a due osservazioni conclusive. Primo, come cittadini, ci siamo abituati a convivere con situazioni di rischio che nessuno di noi considererebbe accettabili a casa propria. Sebbene da diversi mesi i mercati finanziari ci dicano che l’Italia è esposta a rischi gravissimi, gran parte dell’opinione pubblica ignora questi avvisi, e continua a manifestare consenso verso scelte politiche irresponsabili. Secondo, forse non hanno tutti i torti i paesi del Nord Europa, quando insistono che le nostre banche dovrebbero ridurre la loro esposizione al debito pubblico italiano. Questo farebbe salire ancora lo spread, e renderebbe ancora più precaria una situazione già instabile, ma forse renderebbe il nostro sistema finanziario meno fragile di fronte a un evento il cui rischio non è più trascurabile. E magari anche l’opinione pubblica comincerebbe a capire a quali rischi siamo esposti.

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