Così il populismo allontana gli investitori dai paesi avanzati (e dall'Italia)
"L'estremismo politico è il più grande rischio per i mercati", secondo l'Authoritarian populism index del think tank Timbro
Milano. L’Italia è il laboratorio del populismo europeo e il motivo per cui gli investitori se ne terranno alla larga non è per una forma di ingerenza nella democrazia del nostro paese, ma perché il populismo in sé è considerato ormai il rischio più grande che incombe sui mercati nel 2019. A queste conclusioni si giunge mettendo insieme i risultati dell’ultima rilevazione dell’indice del populismo in Europa e le crescenti preoccupazioni degli operatori finanziari che percepiscono un tale livello di incertezza politica nel Vecchio Continente che ormai suggeriscono sistematicamente nei loro report alternative di investimento nei paesi emergenti. Il fatto è che i paesi dove questi movimenti risultano più forti sono anche quelli più indebitati sui quali incombe il giudizio delle agenzie di rating internazionali.
E questo è l’esatto caso dell’Italia che oggi attende il verdetto di Fitch al quale seguiranno quello di Moody’s a metà marzo e di S&P a fine aprile. Secondo l’Authoritarian populism index 2019 rilevato da Timbro, think tank svedese partner, con l’istituto Bruno Leoni, di Epicenter network, l’Italia risulta essere una vera roccaforte per movimenti e partiti politici populisti, che qui registrano il loro consenso più alto tanto da aver formato solo con le loro forze l’attuale maggioranza di governo. L’indice monitora i partiti populisti in Europa e “l'evoluzione delle loro basi elettorali. Ebbene, emerge che più di un quarto (26,8 per cento) degli europei ha votato per un partito populista alle ultime elezioni nazionali; che il supporto a questi movimenti è aumentato in tutte le consultazioni che si sono svolte nel 2018; che un terzo dei governi europei include partiti populisti; e che in quattro paesi (Italia, Grecia, Polonia, Ungheria) il governo è formato esclusivamente dai populisti. Ma che cos’è il populismo esattamente?
In quest’analisi è definito come “la mancanza di rispetto per i diritti delle minoranze e per la divisione dei poteri; l’impazienza nei confronti delle procedure democratiche; la visione della politica come un conflitto tra un popolo omogeneo e un’élite corrotta. Il report include tutte le democrazie europee consolidate (i 27 membri dell’Unione più Regno Unito, Islanda, Norvegia, Svizzera, Serbia e Montenegro) e l’edizione 2019 è particolarmente significativa considerando che ci saranno le elezioni del Parlamento dell’Unione europea, una delle istituzioni più osteggiate dai partiti populisti.
Il punto è che dopo il 2017, con le sconfitte elettorali in Francia e Olanda, si pensava che il populismo avesse raggiunto il suo picco con l’elezione di Donald Trump e il referendum sulla Brexit, salvo venire presto smentita almeno in Italia, dove nel 2018 i partiti populisti hanno guadagnato il governo del paese, dopo averlo ottenuto in molte amministrazioni locali. Ecco perché l’appuntamento con le elezioni di maggio è così importante: da un lato rappresenta una verifica della reale forza assunta da questi movimenti nell’ultima fase, dall’altra si vedrà in che modo reagiranno i mercati globali che stanno anche affrontando una fase di rallentamento.
Secondo Michael Hasenstab, capo degli investimenti del gruppo americano Franklin Templeton, il rischio più grande per l'economia globale è il panorama politico estremo in molte parti del mondo. “L’aumento delle frustrazioni dovuto a fattori come l'immigrazione e le disuguaglianze di reddito ha fatto emergere il populismo sia a sinistra sia a destra e questo può determinare politiche economiche pericolose e fiscalmente insostenibili”. Insomma, il populismo fa innalzare il debito pubblico, come mette in evidenza la casa di investimenti tedesca Flossbach von Storch: “Le promesse elettorali del governo italiano, le concessioni politiche del presidente francese, Emmanuel Macron ai gilet gialli e le politiche di Donald Trump (la riforma fiscale, il muro al confine con gli Stati Uniti e Messico) dimostrano che il populismo è un costo”.