Foto LaPresse

Le mani sull'oro della Banca d'Italia? Una proposta inutile e dannosa

Natale D'Amico

Anche se l'idea non ha alcuna probabilità di giungere in porto fa comunque del male alla nostra economia. In cambio di nulla

Il debito pubblico italiano è pari a circa 2.300 miliardi. Viene alimentato da un fabbisogno, la differenza fra entrate e uscite, che viaggia alla velocità di 50 miliardi all’anno. E’ un problema serio, che vincola le scelte della politica, pesa sull’economia nazionale e accresce il volume di tasse che ogni anno lo stato preleva dalle tasche dei cittadini. Risolvere il problema non è impossibile. Altri lo hanno fatto. Occorre una determinazione di lunga lena volta a ridurre il deficit e favorire una maggiore crescita economica. Così si rallenterà la crescita del debito e se ne ridurrà l’incidenza sulla ricchezza prodotta. Se c’è qualcosa che caratterizza il populismo è lasciar credere che problemi complessi abbiano soluzioni facili. Quella tipica è spendere di più in deficit, “mettendo soldi nelle tasche degli italiani”, in modo che per vie misteriose il debito scenda. Non si registrano casi in cui l’idea abbia funzionato.

 

La pensata più recente, ma a ben vedere neanch’essa nuova, consiste nell’espropriare la Banca d’Italia dell’oro, si immagina per poi venderlo (si spergiura che le cose non andrebbero così, ma altrimenti a che servirebbe l’esproprio?). L’idea è stata formalizzata in una proposta di legge che reca la prima firma del deputato Claudio Borghi (Lega), presidente della Commissione finanze. Un unico articolo, di “interpretazione autentica” di una norma vigente, secondo il quale la proprietà delle riserve auree verrebbe attribuita allo stato. Facile, vero? Sennonché una proposta simile non solo è inutile, è anche dannosa. E per fortuna impraticabile.

 

 

Perché sia inutile lo dicono i numeri citati in principio. Ai prezzi attuali, l’oro detenuto dalla Banca d’Italia vale circa 90 miliardi, meno del 4 per cento del debito pubblico. Debito che, in assenza delle misure serie di cui si è detto (riduzione del deficit e accelerazione della crescita) tornerebbe velocemente al valore di partenza. Dal nostro problema non se ne esce certo così. Perché sia dannosa lo spiega anzitutto la formula giuridica utilizzata, cioè l’interpretazione autentica di una norma del 1988: la Banca d’Italia ha sempre redatto i propri bilanci trattando l’oro come una sua proprietà; finirebbero quindi per diventare ex post falsi tutti i bilanci redatti dalla Banca d’Italia dal 1998 a oggi. Quale sarebbe la credibilità di un paese che dichiara falsi venti anni di bilanci della propria Banca centrale? E che effetti ciò produrrebbe sul tasso d’interesse che quel paese paga sul proprio debito? Ancora: verrebbe sancito che la Banca d’Italia non è indipendente dal governo e dal Parlamento. E di nuovo: con che effetti sullo spread? Infine: si darebbe l’idea di un Paese alla canna del gas, costretto a vendere i gioielli di famiglia per onorare i propri debiti. Chi farebbe prestiti a un debitore in queste condizioni? E a che tasso d’interesse?

 

 

Per fortuna, che la proposta sia impraticabile è scritto nella Costituzione, nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e nello Statuto del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc). In Costituzione: all’art. 42 si prescrive l’obbligo di indennizzo in caso di esproprio: poiché di questo si tratta, lo stato dovrebbe emettere nuovi titoli per pagare l’esproprio, e il debito aumenterebbe anziché diminuire. Nel Trattato dell’Unione: gli stati hanno trasferito all’Ue in maniera esclusiva le proprie competenze in materia di politica monetaria (art. 3), fra queste (art. 127) le competenze afferenti la detenzione e gestione delle riserve valutarie (incluse le riserve auree). Nello Statuto Sebc/Bce: la materia delle riserve ufficiali viene ricompresa nelle competenze esclusive del Sebc (art. 3) e viene ribadito (art. 7) il divieto di ogni ingerenza da parte dei Parlamenti o dei governi nazionali. Comunque, prima di procedere sarà necessario consultare la Bce (art. 127 Tfue), la quale negherà il suo assenso. Infine sarebbe la Corte di Giustizia a decidere, con pochi dubbi sull’esito del contendere.

 

Purtroppo la sola proposta, pur non avendo alcuna probabilità di giungere in porto, fa danni: se non mina l’indipendenza della Banca centrale, manifesta l’intenzione di farlo; se non riesce a vendere i gioielli di famiglia, la volontà di procedere in quella direzione costituisce un indicatore della scarsa volontà di fare invece quel che serve. Quali effetti producano queste intenzioni sui nostri creditori è facile immaginarlo. Insomma, ci facciamo del male in cambio di nulla. Che non è proprio una caratteristica delle persone intelligenti.