Un mondo confuso nella percezione dell'iniquità
Stiamo bene o stiamo male? Economisti sensati dicono una cosa, i teorici dei gilet gialli un’altra. E anche Draghi s’è fatto venire qualche dubbio. Servirebbe una gigantesca operazione verità
Stiamo bene o stiamo male? Questo è il problema. Mario Draghi dice che occorre riformare l’Europa dell’euro, senza illudersi sulle scorciatoie nazionali, per correggere la percezione diffusa dell’iniquità (Draghi studiò con profitto dai gesuiti). Percezione. Un libro del manifesto sui gilet jaunes, con Marco Bascetta, Toni Negri, Michael Hardt e altri, si apre con un prologo significativo: la tassa sul diesel che ha scatenato la rivolta contro globalizzazione e globalizzatori è come la tassa sul macinato, tipico esempio di fiscalità indiretta che da secoli provoca insubordinazione verso i regimi di élite che la impongono. Il macinato è il grano, cioè il pane, mentre il carburante serve a mandare il Suv. C’è una differenza? Mi pare di sì, ma è di nuovo questione di percezione. C’è poi, quanto a percezione, l’opera di uno psicologo harvardiano, Stephen Pinker: sostiene che siamo messi molto bene, che nel mondo moderno sono diffuse scienza, ragione e cura degli altri, in un contesto medio di pace e di prosperità, e la destabilizzazione deriva da fondamentalismo, correttismo politico e postmodernismo chattante. Percezione, di nuovo, ed è una materia su cui uno psicologo dovrebbe avere la sua da dire, comunque la si pensi delle sue tesi.
Stiamo bene o stiamo male? Molti economisti sensati, e l’Economist di Londra, rilevano che con i mercati aperti una parte decisiva dell’umanità è uscita dalla miseria, attraverso la competitività e produttività del suo lavoro e dei suoi numeri demografici (Cina, India eccetera), circostanza che spiega un relativo ristagno di economie e redditi del ceto medio occidentale, che ha servizi di welfare opulenti, norme e diritti di garanzia estesi, un sistema fiscale pesante e una stanchezza da demografia invecchiata. Ma non basta il Suv, non basta la progressività dell’imposta, e il suo rilancio stratosferico immaginato dai neosocialisti americani, non bastano i servizi assistenziali, sanitari, previdenziali: la gente, dice Marco Bascetta, inceppa la globalizzazione rivendicando più soldi per tutti coloro che sentono di averne bisogno. Percezione, ancora e ancora percezione.
Proletari di tutti i paesi, unitevi: era una parola d’ordine materialista, fondata su una analisi per certi aspetti molto pertinente della società civile nell’Ottocento, oltre che su una filosofia marxista della storia che ha generato molte speranze, molti equivoci e cocenti delusioni, specie in tema di libertà civile. Anche il superamento della tassa sul macinato, o le otto ore lavorative, furono realizzazioni materialiste. Ora si vanno confusamente unendo, in tutti i paesi, coloro che si percepiscono come forgotten, dimenticati, coloro che si sentono esclusi dalla mobilità sociale e dalle tecnologie di avanguardia, e non vedono, non percepiscono, un futuro per sé e per i loro figli. Il salto dal materialismo alla psicologia, dall’oggettività alla soggettività assoluta, è notevole, e ingombro di conseguenze le più diverse.
Gli indicatori tradizionali, il Pil ovvero il fatturato e la produttività del lavoro e degli altri fattori in regime di competizione di mercato, sono considerati desueti. Perfino un geniale mago della finanza come Draghi si è fatto venire, a quanto pare, qualche dubbio. Non parliamo dell’Istat, che mette con disinvoltura la felicità tra le statistiche. Retrospettivamente, avere vissuto in un mondo materialista lo considero un privilegio. E considero un rischio l’evoluzione verso la psicologia degli individui e delle folle. Stiamo bene o stiamo male? Vorrei che su questa faccenda, che è all’origine dello spirito di frustrazione, rabbia e risentimento messo oggi a sigillo dei tempi moderni, si facesse una gigantesca operazione verità, lo spero ma non me lo aspetto.