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Il reddito di cittadinanza non è (solo) un problema di costi, ma di incentivi

Paolo Manasse*

Ipertassazione del salario, lavoro nero, incertezze per l’impresa, disincentivi al risparmio e alla mobilità geografica

Il testo dell’audizione di Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, su reddito di cittadinanza (RdC) e pensioni contiene una ricchezza di informazioni che ne fanno una lettura fortemente consigliata  per chiunque voglia capire come funziona il RdC. Mi limito ad alcune osservazioni suggerite dal testo di Pisauro in merito ai problemi di incentivo generati dal RdC. Non affronto qui  altri aspetti importanti, come quello dei costi per la finanza pubblica (5,8 miliardi nel 2019 e 7,8 miliardi negli anni successivi), la concentrazione dei benefici nel Mezzogiorno, il miglior trattamento previsto dal RdC per i single rispetto alle famiglie povere. La discussione ruota intorno a due lavoratori, Aldo e Lucia, e un imprenditore, Fabrizio.

    

Tassazione superiore al 100 per cento del reddito da lavoro. Aldo percepisce 780 euro dal RdC. Fabrizio, tramite il Centro per l’impiego, gli offre un lavoro “congruo” (che non può rifiutare) che paga 781 euro. Aldo accetta e perde il RdC. Dunque il nuovo impiego genera per Aldo un reddito addizionale pari a 1 euro: il suo nuovo lavoro è tassato al 100 per cento. Ovviamente, se il lavoro offerto non fosse “congruo” (ad esempio distasse più di 100 km o più di un’ora di viaggio dalla sua residenza nel caso della prima offerta) di certo ad Aldo non lo accetterebbe: si chiama “trappola della povertà”.

      

Modifica delle scelte lavorative. Secondo la normativa, se Aldo si auto-licenzia perde l’accesso al RdC. Ma Aldo potrebbe sempre accordarsi con Fabrizio, il suo datore di lavoro, per non far figurare il licenziamento come volontario.

     

Incentivo al lavoro nero. Aldo potrebbe poi convincere Fabrizio a continuare ad assumerlo, ma in nero. Nella stragrande maggioranza delle province del Mezzogiorno, almeno il 10 per cento dei lavoratori dipendenti guadagna meno del massimo contributo previsto del RdC. Questo potrebbe dunque spiazzare le attività part-time o di collaborazione a basso reddito a favore del RdC e spostarle verso il sommerso. Il problema potrebbe essere ampio, considerato che sono circa 400 mila i potenziali beneficiari del RdC che risultano occupati. 

    

Disincentivo al risparmio. Il RdC viene erogato con una carta acquisti che consente un prelievo di contanti limitato a 100€ euro mensili (per un single, di più per un nucleo familiare) ed é spendibile per pagare l’affitto o il mutuo. Se Aldo non spende una parte del RdC, questa viene sottratta dal mese successivo (fino al massimo del 20 per cento). Se Aldo volesse risparmiare più di 100 euro al mese, ad esempio per far fronte a una spesa importante il mese successivo (il dentista), dovrebbe acquistare beni per l’intero ammontare del RdC (eccedente i 100 euro) e rivenderli a qualcun altro: un ritorno al baratto.  L’idea di “rimettere in circolazione il denaro” contenuta nel progetto è facilmente aggirabile, e danneggia la libertà di scelta dei percettori.

    

Aggiramento dei criteri di titolarità. L’accesso al RdC si basa sull’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee)  che, stando a controlli recenti della Guardia di finanza, presenta irregolarità e abusi estremamente significativi. Inoltre, per accedere al RdC non si devono avere depositi e attività finanziarie superiori, nella media dell’anno precedente, a 6 mila euro. Ad Aldo basterebbe ritirare propri depositi dalla banca e aspettare un anno prima di far domanda.  

    

Incertezza per l’impresa. Se Fabrizio assume Aldo, che riceve il RdC, viene esonerato dal pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali a suo carico e a carico di Aldo nel limite del RdC per le mensilità non utilizzate (ed entro limiti fissati a livello comunitario). Fabrizio però non conosce oggi l’ammontare della detrazione: se Aldo fa parte di un nucleo familiare a cui spetta il RdC,  questa detrazione dipende da quanto del RdC familiare verrà imputata ad Aldo, cosa ancora da decidere per decreto. Fabrizio sa che la detrazione vale solo se assume Aldo a tempo pieno e indeterminato, una scelta molto rischiosa in tempi di recessione. Inoltre, se Fabrizio dovesse licenziare Aldo senza giusta causa o giustificato motivo, si troverebbe a pagare delle sanzioni.

        

Effetti potenzialmente distorsivi nella domanda di lavoro. Fabrizio deve scegliere se assumere Lucia o Aldo, entrambi disoccupati. Lucia è molto più brava e onesta di Aldo. Entrambi hanno lo stesso reddito Isee e hanno, rispettivamente, 6.001 euro e 5.999 euro in banca. Per questo motivo Aldo ha accesso al RdC e Lucia no. Fabrizio troverà conveniente assumere Aldo, per godere delle (incerte) agevolazioni. Dunque, lo stato paga Fabrizio perché assuma il lavoratore meno produttivo (ma più furbo). Aldo ora lavora, ma essendo pagato poco più di prima, il suo reddito non cambia. Lucia rimane disoccupata e senza reddito. Lo stato, quando Aldo viene assunto, non risparmia il RdC perché inizialmente lo versa a Fabrizio.

       

Disincentivo alla mobilità geografica. Aldo risiede a Crotone e percepisce un RdC di 780 euro mensili. Fabrizio gli offre un lavoro a Milano per uno stipendio di 1.169 euro mensili. In termini di potere d’acquisto, il suo RdC a Crotone ha lo stesso potere di acquisto di 1.170 euro a Milano. Accettando il lavoro perderebbe 1 euro (oltre a dover affrontare le spese di trasferimento solo in parte compensate nel RdC). Dunque, Aldo rifiuterà le prime due offerte di lavoro al Nord (la terza la deve accettare pena la perdita del RdC). Le soglie di accesso e le prestazioni garantite dal RdC sono identiche in tutto il paese, a fronte di costi della vita che, tra le grandi città del  Nord e i piccoli centri del Mezzogiorno, differiscono di oltre il un terzo. Gli enormi differenziali nei tassi di disoccupazione tra province italiane (Bolzano 3,1 per cento, Crotone 29 per cento nel 2017) ci dicono che la mobilità geografica del lavoro è molto bassa, anche a causa delle differenze nei costi della vita rispetto a quelle dei salari. Il RdC rischia di ridurre ulteriormente questa mobilità, rendendo la disoccupazione ancora più persistente e concentrata geograficamente.

    

Rendimento degli investimenti nel Centri per l’impiego. Oltre ai  costi del RdC, circa 21,5 miliardi in tre anni, il provvedimento prevede spese per investimenti su  Centri per l’impiego (1.340 milioni), Anpal (513 milioni), Inps (150 milioni) e Caf (20 milioni), con l’idea di rafforzare l’incontro tra domanda (imprese) e offerta di lavoro (disoccupati). Questi investimenti aiuteranno Aldo a trovare un lavoro e Fabrizio a trovare un lavoratore? C’è da dubitarne. Oggi i posti vacanti, a cui possono aspirare i disoccupati, rappresentano appena 1 per cento dei posti di lavoro disponibili (la somma degli impieghi e dei posti vacanti). Inoltre, Fabrizio non offre ad Aldo un posto di lavoro perché verosimilmente Aldo non possiede le competenze di cui ha bisogno. In altri termini, la disoccupazione italiana non è principalmente di carattere frizionale. Una recente indagine delle Camere di commercio mostra che le imprese private di industria e servizi richiedono qualifiche elevate,  e che oltre un terzo delle assunzioni richieste vengono giudicate di “difficile reperimento”. Non stupisce perciò che solo il 2,4 per cento dei nuovi occupati nel 2017 consideri i Centri per l’impiego lo strumento rivelatosi più utile per trovare un impiego contro il 40,7 per cento che indica le “reti familiari”.

   

In conclusione, il macchinoso congegno del RdC conferma l’impressione che i suoi ideatori proprio non capiscano il funzionamento di un’economia di mercato: questa si basa sugli incentivi e non sui divieti (decreto dignità, chiusure feriali dei negozi) o sui predicozzi. Le conseguenze di questa ideologia primitiva, che definirei pre homo-oeconomicus, si stanno purtroppo vedendo sin d’ora sulla crescita (negativa) del pil e su quella (positiva) del costo del debito pubblico. Temo che ne vedremo presto le conseguenze anche su povertà e disoccupazione.

     

*economista, Università di Bologna

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