Non solo l'Italia. Cosa dice l'Ue sugli altri paesi dell'Europa
Difficoltà esistono anche in Spagna, Germania e Francia. Ma il pericolo più grande è il debito pubblico italiano
Roma. “La sostenibilità del debito pubblico continua a essere a rischio nel medio termine. Il suo alto livello unito all’altrettanto alto livello del deficit strutturale costituisce un problema e il governo dovrebbe sforzarsi di aumentare significativamente l’avanzo primario per contenere il rischio di insostenibilità. Anche perché la posizione finanziaria netta sull’estero si sta deteriorando”. Di chi stiamo parlando? Dell’Italia? No, è uno dei passaggi più significativi del Country report semestrale sulla Francia reso noto dalla Commissione europea insieme a quelli degli altri 27 stati membri. Giudizio netto, parole pesanti. Pesanti ed emblematiche. Perché l’idea che Bruxelles discrimini l’Italia riservandole un trattamento sfavorevole nei suoi documenti somiglia a una favola, con la Commissione nella parte del Lupo cattivo e l’Italia in quella di Cappuccetto Rosso.
I Country Reports semestrali con cui Bruxelles passa ai raggi X lo stato di salute delle economie dei paesi membri sono stati introdotti dopo la grande crisi per monitorare in modo stringente le politiche dei componenti del club. Il loro scopo precipuo è quello di valutare la compliance (l’adeguamento) del paese riguardo agli impegni presi per tenere il passo della strategia economica complessiva dell’Europa così come fissata dai governi. Il focus non a caso, dopo una fotografia sullo stato della congiuntura, è soprattutto sulle politiche strutturali e i progressi fatti o non fatti su vari fronti. Se, come pensa il governo gialloverde, il rapporto sull’Italia contiene una valutazione particolarmente severa, dunque, è solo perché il medesimo governo ha introdotto una discontinuità importante con le politiche del passato imboccando, unico tra i membri della Ue, una rotta eccentrica rispetto alla strategia economica decisa collettivamente.
Produttività e crescita potenziale in Italia. Fonte: Commissione europea
L’Italia non è messa bene, è uno dei tre paesi europei, insieme a Grecia e Cipro, ad avere “squilibri macroeconomici eccessivi”. Ma se si analizzano i rapporti dei maggiori paesi ci si rende conto che Bruxelles non fa sconti a nessuno. Dieci paesi, tra cui Francia, Germania, Spagna, Irlanda Olanda e Portogallo, sono caratterizzate da “squilibri macroeconomici” (anche se non “eccessivi” e quindi a rischio procedura d’infrazione). Francia e Spagna sono nel gruppo a causa dello stato delle loro finanze pubbliche, la Germania in ragione del suo tuttora elevato ancorchè decrescente avanzo con l’estero. Secondo Le Monde di ieri la Commissione ha addirittura usato la mano leggera con Berlino e Roma per i loro squilibri economici, mentre è stata molto più determinata quando si è trattato di avviare le procedure d’infrazione (la verità è che gli squilibri economici eccessivi sono i più difficili da quantificare e quindi da sanzionare). L’Italia condivide con la Germania anche un giudizio preoccupato della Commissione sulla situazione del sistema bancario anche se per motivi diversi: il nostro paese a causa della elevata quota di debito pubblico detenuta dagli istituti, mentre si riconoscono i progressi fatti sul fronte degli Npl, la Germania per la frammentazione del suo sistema. In generale i rapporti si concentrano sulla performance dei vari paesi in una molteplicità di aree a valenza strutturale: investimenti, nelle infrastrutture di trasporto e in Ricerca e Sviluppo, in innovazione e digitalizzazione, formazione, fonti rinnovabili, concorrenza, mercato del lavoro, efficienza del sistema fiscale.
Germania
Bruxelles riconosce che un certo impulso dato agli investimenti pubblici e all’innovazione tecnologica ha reso l’economia “più resiliente” agli choc interni ed esterni e ha favorito un “modello di crescita stabile e inclusiva”. Riconosce anche che nell’ultimo semestre il contributo alla crescita della domanda interna è aumentato a scapito dell’export, che la disoccupazione è arrivata al 3,2 per cento (ma con una forte mancanza di lavoratori skilled, problema questo comune a quasi tutte le economie Ue) e i salari sono in risalita. Ma ciononostante Bruxelles giudica “limitati” i progressi fatti per conformarsi alle raccomandazioni della Commissione. E’ come se il paese si muovesse nella direzione giusta ma troppo lentamente rispetto alle necessità della Germania stessa e dei suoi partner. Il surplus con l’estero, per esempio, si è ridotto per il terzo anno consecutivo ma rimane “troppo elevato” rappresentando oltre due terzi dell’intero avanzo europeo. L’eccesso di risparmio privato sugli investimenti, in altre parole, pur diminuendo resta alto. Ma il rapporto rileva insufficienti progressi anche in altri campi. Gli investimenti privati crescono in alcuni settori, come il macchinario e l’immobiliare, in altri no. Quelli pubblici sono insufficienti, soprattutto nel campo delle infrastrutture e della scuola. La produttività del lavoro è tornata a diminuire e ciò obbliga a moltiplicare gli investimenti in capitale umano, innovazione e digitalizzazione. Altrettanto insufficiente è l’aumento dei salari – solo l’1 per cento – e la riorganizzazione del sistema fiscale. Infine le banche: il sistema è solido ma i suoi costi sono troppo elevati. Con la Germania Bruxelles fa come certi maestri severi che al primo della classe chiedono sempre di più.
Francia
Secondo la Commissione l’economia francese rallenta “anche a causa delle proteste di fine 2018”, ma il processo di riforma continua sebbene con risultati alterni. Alcune misure sono in atto, come la semplificazione del sistema fiscale e il Grande Piano di investimenti 2018-2022 che prevede tra l’altro la destinazione di 57 miliardi sull’innovazione e la digitalizzazione. Dopo una lunga contrazione dal 2016 gli investimenti sono ripartiti e dovrebbero assorbire a regime una quota del 22,5 per cento del pil. Altre riforme importanti tuttavia sono per ora solo annunciate, come quella del sistema pensionistico e della sanità o il programma di spending review che il rapporto inquadra tra le aree caratterizzate da “nessun progresso”. Anche nel caso di Parigi la Commissione ripete quello che è un po’ un mantra dei suoi reports: orientare gli investimenti verso i settori dell’innovazione e della ricerca, della transizione verso le energie pulite e del clima, della formazione. Il vero buco nero della Francia resta però, come detto, il debito. E la sua sostenibilità, al cui rafforzamento possono contribuire in modo particolare, oltre all’aumento dell’avanzo primario, “profonde riforme del sistema pensionistico e di quello sanitario”.
Spagna
Il rapporto individua tra i punti di forza della Spagna la crescita sostenuta (2,5 per cento lo scorso anno), l’aumento dell’occupazione, una lieve riduzione della disoccupazione (che resta sopra il 10 per cento) e una produttività in linea con la media europea. Ma avverte anche che il tuttora alto livello del debito pubblico e del deficit al netto del ciclo, insieme alla posizione debitoria netta del paese verso l’estero, costituiscono importanti fattori di vulnerabilità. Inoltre due cambiamenti di governo in un anno e l’attesa per le elezioni politiche il mese prossimo hanno rallentato il processo di riforma dell’economia. Per mantenere l’attuale ritmo di crescita, secondo Bruxelles, Madrid deve moltiplicare gli investimenti in infrastrutture, innovazione e formazione, favorire l’inclusione sociale per combattere la povertà e migliorare le reti di connessione energetica con il resto d’Europa.
Grecia
Nel 2018 la Grecia non aveva ricevuto raccomandazioni da Bruxelles perché era ancora soggetta al programma di assistenza sotto condizioni del Fondo salva stati (Esm), dal quale è uscita con successo lo scorso agosto. Dunque il rapporto della Commissione non valuta la compliance di Atene con le direttive, ma lo stato dell’economia e il che fare per rendere sostenibile e duratura l’uscita di Atene dalle maglie dell’assistenza finanziaria condizionata. Nonostante l’elevato debito pubblico (180 per cento del pil), la Grecia è riuscita a riprendere il controllo delle sue finanze pubbliche che oggi presentano un saldo primario positivo del 3,5 per cento (quello a cui dovrebbe arrivare l’Italia, che invece lo ha ridotto, per avviare la riduzione del suo debito). L’economia è tornata a crescere ma l’eredità della crisi, dice il rapporto, resta pesante. I conti con l’estero sono in passivo e la posizione debitoria netta del paese negativa. La sostenibilità del debito e della crescita richiede secondo Bruxelles, oltre alla tenuta del bilancio, dare priorità nelle politiche di investimento ai settori dei trasporti, della rigenerazione delle aree urbane, dell’efficienza energetica, della protezione dell’ambiente e delle infrastrutture. Forse dal rapporto Grecia di Bruxelles un messaggio per Roma: portare l’avanzo primario al 3,5 per cento è possibile.