Foto Pixabay

Perché il 2018 è stato l'anno nero del risparmio

Mariarosaria Marchesano

Le famiglie italiane spaventate dai mercati. La raccolta dei fondi crolla a 10 miliardi dai 97 del 2017 e la gestione è in rosso su tutte le asset class. L'analisi di Russo (Assiteca Sim) 

Milano. Se oltre a quello di imprese e consumatori in Italia esistesse anche un indice di fiducia dei risparmiatori, nel 2018 sarebbe crollato a picco. Stando infatti agli ultimi dati diffusi da Assogestioni (associazione italiana delle società di gestione del risparmio) lo scorso anno la raccolta si è ridotta a circa 10 miliardi di euro dai 97,4 miliardi dell'anno precedente. Certo, lo stock totale degli investimenti degli italiani nelle mani dei fondi e delle società di intermediazione mobiliare è ancora molto elevato (poco più di 2 mila miliardi di euro su una ricchezza totale stimata in 4.168 miliardi in cui sono compresi anche i beni immobili), ma la frenata registrata nel 2018 dalla raccolta è significativa e, quel che è ancora peggio, va di pari passo con l'andamento negativo della gestione. Roberto Russo, amministratore delegato di Assiteca Sim, gruppo d'investimenti indipendente fondato con Alessandro Falciai (si autodefiniscono “puristi dell'analisi fondamentale” e discepoli di Warren Buffett) ha scritto nella newsletter che invia ai suoi clienti (dal titolo “Le verità nascoste dietro la lunga crisi dell’Italia”) che “il 2018 è stato il peggior anno dell'ultimo decennio per l'industria del risparmio gestito” poiché si è realizzato il simultaneo ribasso di azioni, obbligazioni, petrolio e persino dell'oro, considerato bene rifugio per eccellenza. “Tale congiuntura ha di fatto impedito ai gestori di intraprendere qualsiasi strategia difensiva sui portafogli”, afferma Russo.

  


 

Nella colonna della tabella relativa al 2018 i dati relativi alle performance di gestione dello scorso anno:
tutte hanno fatto registrare un calo


 

Ma cosa è successo esattamente? “I risparmiatori italiani – prosegue - sono stati messi a dura prova dall'attacco speculativo che ha colpito il mercato azionario e i titoli di stato in seguito all'insediamento del nuovo governo, nato da una maggioranza costituita da due partiti che in campagna elettorale si erano presentati come due forze contrapposte. La tensione è stata poi acuita dal progressivo deteriorarsi del clima di fiducia degli investitori a livello globale, culminato in drammatico mese di dicembre, per Wall Street il peggiore dal 1930”.

 

Sul fronte dell'economia reale, l'Italia è poi entrata in recessione tecnica dopo gli ultimi due trimestri dell'anno che hanno fatto registrare un andamento del pil negativo dopo 14 trimestri consecutivi di crescita. Russo fa notare che negli ultimi 10 anni le famiglie italiane hanno raddoppiato i propri risparmi nonostante la crisi finanziaria del 2008 e quella del 2011, tant'è che il nostro paese è uno dei primi al mondo in termini di stock di ricchezza privata e, cosa più importante, ha un tasso di solidità patrimoniale più elevato rispetto a nazioni come Germania e Gran Bretagna. Ma nell'ultimo periodo qualcosa è cambiato. Il fatto che la ricchezza privata italiana sia pari al doppio del debito pubblico dovrebbe rappresentare un elemento rassicurante per i risparmiatori. Invece, l'inversione di tendenza drastica registrata nel 2018 fa pensare che si sia almeno incrinata la fiducia verso la capacità del paese di reagire alle criticità.

 

“Il nuovo governo populista ha costruito e ottenuto il consenso sui temi della sicurezza interna e della sottomissione dei precedenti governi alle regole comunitarie che hanno reso impossibile l'adozione di politiche economiche espansive nel momento di maggiore necessità provocando un drammatico effetto negativo sul pil – dice l'amministratore delegato di Assiteca Sim - lo stesso governo ha continuato a utilizzare la leva emotiva dell’incombente povertà dei cittadini proponendo come provvedimenti innovativi la pensione per tutti a 62/63 anni e lo stipendio di stato a chi non ha un lavoro. In definitiva, è stata nuovamente utilizzata la 'rendita elettorale' della spesa pubblica e per l’ennesima volta si è persa l’occasione di ridurre i privilegi dei detentori di patrimoni a vantaggio dei produttori di reddito”. Ovviamente, va tenuto conto di altri fattori di tipo geopolitico che hanno contribuito a creare tensioni sui mercati finanziari nell'ultimo anno, come la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, i gilet gialli in Francia e la Brexit.

 

C'è però un rovescio della medaglia in tutta questa situazione che Russo mette in evidenza partendo dal dato che negli ultimi 12 anni, a fronte di una perdita di circa sei punti del pil italiano, l’indice Comit generale (rappresentato da tutti i settori merceologici delle aziende quotate) ha perso circa la metà del suo valore e oggi è sugli stessi livelli del 2008. “Il nostro mercato borsistico rappresenta un territorio ideale di conquista per gli investitori che, invece di subire il populismo imperante che fa leva sullo stato emotivo di ansia e di angoscia proveniente dalla comunicazione lampo dei social network, hanno la possibilità di sfruttare le fluttuazioni di breve termine dei prezzi per acquistare aziende eccellenti a prezzi scontati con l’obiettivo di costruire portafogli in grado di generare valore nel lungo periodo”, conclude Russo. Insomma, chi non ha paura del populismo può ricominciare a investire.