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Salvate il soldato Ponti

Carlo Stagnaro

E’ giusto criticare nel merito il governo sulla Tav, ma è sbagliato farlo sparando sul metodo costi benefici

Un’opera pubblica non vale un principio. Purtroppo, la feroce discussione sull’analisi costi-benefici (Acb) della Torino-Lione sembra suggerire il contrario. Il principio è quello per cui gli investimenti pubblici vanno valutati, poiché le risorse sono scarse e, impiegandole per un certo scopo, non sono più disponibili per altri utilizzi. L’obiettivo dell’analisi è identificare tutti gli stakeholder che sono direttamente impattati dalla Tav (incluso lo stato) e, per ciascuno, stimare – in uno o più scenari – i costi e i benefici attualizzati. Il saldo netto ci dice se gli effetti attesi sono positivi per la società nel suo complesso (cioè se l’investimento si ripaga, tenendo conto anche di benefici non monetari quali la riduzione dell’inquinamento).

       


Gli investimenti pubblici vanno valutati, poiché le risorse sono scarse e, impiegandole per un certo scopo, non sono più disponibili per altri


     

L’Acb del team di Marco Ponti offre, sulla Tav, un responso negativo: nello scenario definito realistico, la Torino-Lione produrrebbe una perdita sociale netta di circa 7 miliardi di euro in trent’anni (circa 2,5 se si considera solo la parte italiana). Questo non significa necessariamente che non vi siano buone ragioni per proseguirne comunque la realizzazione, né che la metodologia adottata sia inattaccabile. Il dibattito pubblico si è invece polarizzato: chi era favorevole alla Tav ha rigettato pregiudizialmente l’Acb, gli altri l’hanno agitata a mo’ di clava. In entrambi i casi la posizione è apparsa strumentale, e ha reso un cattivo servizio al (e fatto un pessimo uso del) documento elaborato dai tecnici della Struttura di missione del ministero dei Trasporti.

    

La focalizzazione su alcuni dettagli metodologici, per quanto importanti, ha contribuito allo spostamento del terreno di scontro dalle ragioni a favore o contro la Tav agli argomenti pro o contro la valutazione degli investimenti. Quindi dal concreto all’astratto e dal razionale all’emozionale. Lo conferma l’elemento su cui tutti si sono avventati, ossia la trattazione dei minori pedaggi e accise alla stregua di un costo. La critica solo raramente è entrata nel merito (lo hanno fatto, tra i pochi, Marco Cantamessa, Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli). Più spesso ha condotto una reductio ad absurdum: poiché il trasferimento del traffico dalla strada al ferro è l’obiettivo principale della policy, un risultato negativo diviene inaccettabile sul piano logico. Il che, per inciso, equivale a dichiarare l’inutilità dello sforzo stesso della misurazione.

    

Stabilire se lo shift modale sia un obiettivo politico è una faccenda, appunto, politica. L’Acb non ha nulla da dire in merito alle preferenze valoriali di cittadini e decisori. Essa, piuttosto, serve a chiarire quanto costi metterle in pratica e a quali condizioni ciò sia possibile. Discute i mezzi, non i fini. In particolare, i mancati pedaggi e accise entrano dal lato del beneficio nel surplus del consumatore, in quanto questo dipende tra l’altro dalla riduzione del costo generalizzato del trasporto. Parimenti, devono comparire dal lato del costo in quanto hanno conseguenze tutt’altro che irrilevanti sugli operatori autostradali e sullo stato (al pari dei maggiori ricavi dell’operatore ferroviario, beninteso).

   

Concentriamoci, in particolare, sulle accise. Per finanziare le sue spese, lo stato fa conto sul gettito di ogni imposta, incluse quelle sui carburanti. Se vengono meno, lo stato deve reperire risorse equivalenti attraverso altri aumenti di imposta (oppure tagliando la spesa). Ignorarlo aprirebbe un buco nell’analisi, oltre che nei conti pubblici. Inoltre, le accise – cambiando i prezzi relativi del trasporto su gomma rispetto al ferro – hanno conseguenze allocative, per cui difficilmente possono essere considerate insignificanti. Anche il quantum, non solo l’an, è importante: nel caso dei percorsi autostradali extraurbani la somma tra la tassazione sui carburanti e i pedaggi eccede, e di molto, l’ammontare dei costi esterni e l’usura della infrastruttura. Lo stesso esame, condotto negli Stati Uniti dove le accise sono inferiori e i pedaggi pressoché inesistenti, avrebbe fornito un esito diverso. Implicitamente, pertanto, l’Acb nega che il livello di prelievo gravante sulla gomma sia ottimale.

   


    Il governo ha usato i membri del “clan Ponti” come scudi umani. E i critici hanno reagito sparando sulla commissione anziché sulla decisione


    

Sarebbe sbagliato dedurne semplicisticamente che, a causa dell’elevato carico fiscale, più la linea viene usata, peggio è: il saldo netto è negativo solo se il costo sociale, al lordo delle accise, è superiore al beneficio sociale, inclusi i vantaggi ambientali e quelli per gli utenti (per esempio i minori costi e tempi di spostamento). Se questi ultimi sono abbastanza ampi da compensare il mancato gettito fiscale e gli altri costi, il risultato sarà positivo: e proprio questo accade, nell’analisi di Ponti & Co, per i passeggeri, ma non per le merci. Semmai, l’Acb andrebbe criticata per la sua eccessiva semplicità – se non addirittura incompletezza. Ragionando in termini di equilibrio parziale e non generale, trascura aspetti importanti quali l’effetto reddito (cioè le conseguenze sulla domanda di trasporto dello spostamento di risorse da stato e autostrade ai consumatori) e i cosiddetti wider effect (per esempio le esternalità da agglomerazione). Va detto che gli autori riconoscono questo limite ma ritengono che sia di secondaria importanza. Nel caso probabilmente meglio approfondito, quello dell’AV tra Londra e Birmingham, l’impatto dei wider effect è stimato pari a circa un quarto di quelli diretti.

     

In ogni caso, l’esito dell’Acb non sostituisce la decisione politica, e questa è forse la più grave incomprensione che ne ha accompagnato la pubblicazione. L’Acb mette a disposizione un’informazione, di cui poi sta al decisore politico scegliere se e come tenere conto, anche sulla base di considerazioni di altro genere. La principale è quella sollevata dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, in merito agli impegni assunti dall’Italia in sede internazionale e della conseguente perdita di credibilità del nostro paese qualora fossero disattesi. In altri termini, la domanda cui il governo dovrebbe rispondere è se le conseguenze negative dell’abbandono del progetto (comprese eventuali penali e danni reputazionali) valgano più o meno del rischio di perdere l’equivalente di 7 miliardi in trent’anni (di cui solo 2,5 imputabili all’Italia). L’Acb dovrebbe essere uno strumento di trasparenza per decidere: invece il governo ha dato la sensazione di usare i membri del “clan Ponti” come scudi umani per deresponsabilizzarsi, e i critici hanno reagito sparando sulla commissione anziché sulla decisione.

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