Tutte le sviste del governo gialloverde sulla crisi in corso
Le conseguenze della sottovalutazione del rallentamento italiano spingono all’insù debito e pressione fiscale
La situazione economica italiana è sempre più in peggioramento. Il comunicato Istat di venerdì 1° marzo su pil e indebitamento delle amministrazioni pubbliche non soltanto rappresenta una doccia gelata sui conti del 2018 ma dovrebbe indurre il governo a correre al più presto ai ripari per evitare che il 2019 possa diventare disastroso, sia per i settori produttivi e le famiglie sia per le finanze pubbliche.
Se confrontiamo tra loro i dati elaborati dal ministero dell’Economia nel Documento programmatico di bilancio 2019 (Dpb19) con i dati del successivo Aggiornamento del quadro macroeconomico (Aqm) di fine dicembre e con quelli del recente comunicato Istat, possiamo avere una chiara idea di come il governo Conte abbia sottovalutato la portata della crisi che già stava arrivando nel 2018 e abbia conseguentemente formulato per quest’anno degli obiettivi di crescita economica e di bilancio pubblico del tutto fuori dalla realtà. Vediamo alcuni numeri chiave.
Pil reale 2018 e le previsioni per il 2019
La crescita in volume attesa inizialmente dal Dpb19 per il 2018 era più 1,2 per cento, poi è stata ribassata a più 1 per cento dall’Aqm e ora l’Istat ha certificato soltanto un più 0,9 per cento (più 0,88 per cento per la precisione). Alla luce del dato in rallentamento dello scorso anno, della crescita negativa ereditata dai suoi ultimi due trimestri di recessione e dell’evoluzione sempre più debole degli indicatori di fiducia, le previsioni di crescita del pil italiano più realistiche per il 2019 sono, a questo punto, quelle dell’Ocse (meno 0,2 per cento) o, se andrà bene, quelle di Prometeia (più 0,1 per cento) e della Commissione europea (più 0,2 per cento).
Deflatore del pil 2018
Il Dpb aveva ipotizzato un robusto più 1,3 per cento, poi ridotto a un più cauto più 1,1 per cento dall’Aqm, infine portato dall’Istat a un modesto più 0,8 per cento.
Pil nominale 2018
Con una crescita reale drasticamente ridimensionata rispetto alle prime aspettative del governo e un deflatore così fiacco, il 2018 è stato un vero disastro per il pil nominale 2018, che è cresciuto soltanto dell’1,7 per cento, contro l’ambizioso più 2,5 per cento formulato dal Dpb19, poi già ridotto a più 2,1 dall’Aqm. In valore, il pil nominale è aumentato nel 2018 di soli 29,7 miliardi di euro contro un deficit pubblico di 37,6 miliardi e un peggioramento del debito pubblico di 53,2 miliardi rispetto al 2017. Sono conseguentemente saltate tutte le stime preliminari di finanza pubblica per il 2018, ponendo una seria ipoteca anche sugli obiettivi fissati dal governo per il 2019.
Deficit/pil 2018
Il Dpb19 aveva inizialmente ipotizzato per il 2018 un indebitamento netto pari all’1,8 per cento del pil. Poi l’Aqm l’aveva rialzato all’1,9 per cento. Ora l’Istat ha certificato un deficit/pil 2018 del 2,1 per cento, che rappresenta un sostanziale peggioramento rispetto al meno 2,3 per cento del 2017 che era stato pesantemente gravato dai salvataggi bancari, senza i quali sarebbe stato inferiore al 2 per cento.
Surplus primario/pil 2018
Rispetto all’1,8 per cento ipotizzato sia dal Dpb19 sia dall’Aqm, l’Istat ha certificato un 1,6 per cento finale.
Debito pubblico/pil 2018 e scenario 2019
Qui arrivano i dolori maggiori perché la previsione del Dpb19 era di un debito/pil 2018 in calo a 130,9 per cento rispetto al 131,3 del 2017. Poi l’Aqm, di fronte ad una ipotesi rivelatasi presto troppo ottimistica, aveva dovuto correre ai ripari alzando drasticamente la previsione al 131,7 per cento appena poche settimane dopo. Ma ora l’Istat ha stimato per il 2018 un brutale balzo al 132,1 per cento: si tratta di un nuovo record storico per il nostro debito che deve preoccupare molto. Infatti, con un rapporto debito/pil in così sensibile crescita già lo scorso anno, appaiono ancor più irraggiungibili gli obiettivi di finanza pubblica immaginati dal governo Conte per il 2019. Il Dpb19 aveva ipotizzato di poter far scendere il debito/pil al 130 per cento alla fine di quest’anno, obiettivo poi ritoccato al 130,7 nell’Aqm. Ma è del tutto evidente che, senza crescita economica e con le finanze ulteriormente gravate dal peso aggiuntivo degli interessi generato dal rialzo dello spread, un calo del debito di 1,4 punti di pil rispetto al 2018 a questo punto è assolutamente impossibile. Anzi. Il rischio è che il rapporto debito/pil nel 2019 possa sfuggirci di mano esponendoci agli attacchi dei mercati e a una ulteriore impennata dello spread. Senza dimenticare gli strali di una Europa in cui quasi tutti i Paesi, diversamente da noi, stanno riducendo il loro debito.
Un semplice esercizio sul debito
Per capire ciò che ci attende basta fare un rapido calcolo. Immaginiamo che nel 2019 la crescita reale del pil italiano si fermi a più 0,1 per cento, come previsto da Prometeia, e che il deflatore del pil possa raggiungere l’1 per cento. La crescita del pil nominale nel 2019 sarebbe conseguentemente dell’1,1 per cento che porterebbe il prodotto a valori correnti a 1.773 miliardi rispetto ai 1.754 miliardi del 2018. Se assumiamo per buone le previsioni autunnali della Commissione europea che indicavano per il 2019 un debito pubblico per l’Italia di 2.372 miliardi, il nostro rapporto debito/pil quest’anno salirebbe dunque al 133,8 per cento. In conclusione, anche senza prefigurare uno scenario recessivo come quello ipotizzato dall’Ocse, con una crescita appena sopra lo zero il problema del debito italiano dopo le elezioni europee riesploderà e i mercati e la nuova Commissione europea potrebbero sanzionare pesantemente l’operato dell’attuale governo. Quest’ultimo ha riportato il paese in recessione e contemporaneamente ha fatto ripartire verso l’alto il rapporto debito/pil che i precedenti governi Renzi e Gentiloni, con il ministro Padoan, avevano finalmente stabilizzato dopo anni di crescita. Il più basso aumento monetario del nostro debito nell’ultimo decennio si era avuto nel 2015, con un incremento lordo di 36,1 miliardi e un calo di due decimali del rapporto debito/pil che aveva finalmente interrotto una serie di sette anni di crescita consecutiva, dal 99,8 per cento del 2008 al 131,8 per cento del 2014. Nel 2016 il debito/pil si era poi ulteriormente ridotto al 131,3 per cento, restando a questo livello nel 2017.
Pressione fiscale
Il Dpb19 riteneva che la pressione fiscale sarebbe scesa nel 2018 al 41,9 per cento del pil. Ipotesi confermata anche nell’Aqm. L’Istat invece ci ha detto che nel 2018 la pressione fiscale si è attestata al 42,2 per cento del pil, cioè allo stesso livello del 2017. Anche in questo caso si è dunque interrotta una serie positiva che, durante i governi Renzi e Gentiloni, aveva fatto registrare il più forte calo consecutivo del tax rate degli ultimi venti anni, dal 43,6 per cento del 2013 al 42,2 per cento, appunto, del 2017 (meno 1,4 punti complessivi di Pil, senza considerare l’impatto degli 80 euro, stimabile in altri 0,6 punti di calo del tax rate). Il rischio ora è che nel 2019 non soltanto aumentino il debito pubblico e i tassi di interesse ma anche la pressione fiscale: un cocktail micidiale per l’economia del settore privato italiano.