Salvini continua con le promesse fiscali
Ritorna la propaganda “flat tax”, mai realizzata come il taglio accise
Chi non vorrebbe vedersi ridurre della metà le imposte sul reddito? Passare con un imponibile di 50 mila euro dal prelievo attuale di 15.320 (il 30,64 per cento, dato dall’incidenza delle aliquote del 23, 27 e 38) a uno di 7.500, pari al 15 per cento? Eccola la flat tax della Lega, nuovo fronte di scontro con il M5s, ma soprattutto con la realtà: afferma di non sapere nulla né di flat tax né di simulazioni il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che nella prossima manovra di Bilancio già non sa come evitare le clausole degli aumenti Iva pari a 24 miliardi. Del resto Matteo Salvini non ha un buon rapporto con le promesse fiscali.
Sulla flat tax ha già fatto la campagna che lo ha portato al governo; doveva essere del 15 per cento su tutti i redditi e società di capitali, corredata di apposito sito internet (www.tassaunica.it) a cura di Armando Siri, oggi sottosegretario alle Infrastrutture ma sempre “guru fiscale” del Capitano. Nel contratto di governo le aliquote divennero due (15 e 20 per cento sotto e sopra gli 80 mila euro), infine è rimasta una flat tax in versione light alle partite Iva sotto i 65 mila, sempre al 15 per cento a fronte delle già esistenti aliquote agevolate dal 5 al 15. Poi c’è stato l’annuncio salviniano “via tutte le accise sulla benzina”: sono ancora lì e costano oltre 25 miliardi l’anno. In generale il programma della Lega 2018 prometteva 87,5 miliardi di riduzioni fiscali (40,5 quello del M5s). Il taglio effettivo è stato di 1,4 miliardi, divenuto un aumento di 6,1 con i rincari su banche, assicurazioni, automobili, giochi e altro.
Di fatto nel 2019 la pressione fiscale è passata dal 42,2 al 42,5 per cento del pil. Dunque di che cosa stiamo parlando? Anche a volerla prendere sul serio, alla flat tax familiare mancano coperture (abolizione di detrazioni e deduzioni?), nonché notizie sulle famiglie con imponibili oltre i 50 mila: passano d’emblée dal 15 al 38-43 per cento? Sulle promesse azzardate in fatto di tasse si sono immolati personaggi come Donald Reagan e George Bush Sr., fino a Giulio Tremonti. Ora ci manca Salvini, forse frustrato dall’avere appena garantito l’immediato sblocco di centinaia di cantieri, e relativi posti di lavoro, che non si sbloccano. Chi ci ricorda? Magari il Di Maio dell’“aboliremo la povertà”.