Così l'Inps sta diventando il comitato elettorale del governo
Se non si sente più nessun esponente del governo protestare contro la “politicizzazione” dell’Istituto è perché adesso è effettivamente politicizzato
Roma. Se non si sente più nessun esponente del governo protestare contro la “politicizzazione” dell’Inps è perché adesso l’Inps è effettivamente politicizzato. Prima le accuse erano rivolte all’ex presidente Tito Boeri, additato come un esponente del Pd – lui che non ha mai fatto politica attiva e che si è scontrato anche con i governi precedenti – perché forniva dati e analisi che si scontravano con la narrazione gialloverde. Ora che al suo posto c’è momentaneamente, in veste di commissario, Pasquale Tridico (foto sotto), che è effettivamente un esponente politico del M5s, le cose sono cambiate: l’Inps ha rinunciato a qualsiasi autonomia e ai suoi doveri istituzionali ed è diventata un’agenzia al servizio dei partiti di governo, che ha come obiettivo quello amplificare la loro propaganda e di facilitare la loro campagna elettorale per le europee.
Di questa deriva ci sono diverse manifestazioni emblematiche e concordanti: l’ultima audizione alla Camera sul Reddito di cittadinanza; il rinvio a dopo le elezioni del taglio della rivalutazione delle pensioni; l’assegnazione di quota 100 in “via straordinaria” e “provvisoria” anche a chi non invia il certificato di fine rapporto. Il primo tema è già stato sollevato dal Foglio: in audizione alla Camera, la direttrice generale Gabriella Di Michele ha esposto le tesi di Pasquale Tridico – che allora era consulente di Di Maio e non presidente dell’Inps – affermando che “il reddito di cittadinanza ... permetterà di rivedere al rialzo il tasso di partecipazione alla forza lavoro, determinando la crescita del pil potenziale e conseguentemente l’ampliamento dell’output gap. Questo crea uno spazio fiscale aggiuntivo senza ulteriori aumenti della percentuale del deficit strutturale”.
L’idea che il reddito cittadinanza, con un trucco contabile, si autofinanzierà consentendo 12 miliardi di deficit è sostenuta solo da Tridico e riguarda un tema, quello del pil potenziale e dell’output gap, su cui l’Inps non si è mai espresso anche perché è materia del Mef. All’Inps il Foglio ha chiesto se per sostenere queste affermazioni ha fatto stime e simulazioni sul modello econometrico della Commissione Ue. La risposta è stata che l’audizione “è basata sulla relazione tecnica e illustrativa” del ministero del Lavoro “che è stata bollinata dalla Ragioneria dello Stato”. In pratica l’Inps afferma di aver fatto sue, senza alcuna verifica, le ipotesi governative perché la stima di questo fantomatico “impatto” del RdC è presente solo nella relazione illustrativa del governo, che la Ragioneria dello stato si è guardata bene dal “bollinare” (non a caso l’ha tenuta fuori dalla relazione tecnica). E così facendo, rinunciando cioè al proprio giudizio autonomo, l’Inps ha ingannato il Parlamento (che se avesse voluto ascoltare la versione del governo avrebbe audito il ministero).
La dipendenza dall’esecutivo, oltre che dalla diffusione e legittimazione di una narrazione infondata, è visibile anche da alcune decisioni pratiche che hanno come orizzonte temporale la campagna elettorale. L’Inps ha deciso di rinviare al dopo elezioni il taglio delle pensioni per il blocco dell’indicizzazione (un provvedimento che riguarda oltre il 50 per cento dei pensionati), con il rischio di far perdere soldi all’erario. E poi, con una circolare, ha indicato di procedere “in via straordinaria” alla liquidazione delle domande di quota 100 pur in assenza delle “comunicazioni obbligatorie Unilav” che attestano la fine del rapporto di lavoro dipendente. Anche in questo caso intanto si versa la pensione agli elettori richiedenti e poi, dopo le elezioni, si verificherà se il pagamento era dovuto.
Propaganda ed elargizioni. In pratica l’Inps è diventato una specie di comitato elettorale dei partiti di governo. Eppure non c’è nessuno che protesta contro la politicizzazione dell’Istituto che dovrebbe, in autonomia dalla politica, garantire non solo le pensioni di chi vota a maggio ma anche di chi oggi paga i contributi e di chi voterà solo tra qualche decennio.