Tarocco pechinese
Il caso della siciliana Oranfresh alla quale i cinesi hanno clonato i macchinari. Un modus operandi
Roma. C’è anche la Sicilia nel cuore e nel portafoglio dei cinesi. Il presidente Xi Jinping farà tappa sabato a Palermo. C’è chi dice anche per investire nel porto della trinacria, anche se quello che è sicuro è che i cinesi, appena hanno sentito puzza di bruciato, hanno deciso di mettere in stand-by i loro investimenti in Blutec, la società che nel 2015 aveva rilevato lo stabilimento della Fiat a Termini Imerese promettendo di puntare sulle produzione di auto elettriche. L’eco dell’inchiesta della procura palermitana è giunto fino a Pechino e i rappresentanti della Jiayuan, l’azienda cinese a caccia di alleanze nell’isola, hanno comunicato a Blutec l’intenzione di sospendere il programma di visite a Termini Imerese che dovevano precedere la firma di un memorandum d’intesa circa il passaggio della fabbrica ai cinesi.
Ma Pechino è amara anche per un’altra storica azienda dell’isola, la Att (Agroindustry Advanced Technologies) Oranfresh di Catania. Una società nata negli anni Ottanta nell’Etna Valley, famosa per avere inventato una macchina spremi agrumi con tanto di brevetto depositato in Europa e negli Stati Uniti dal 1995. Poi un bel giorno decide di entrare in affari con l’ex Celeste Impero. “Succede che diventa uno dei nostri mercati più importanti– racconta al Foglio Salvatore Torrisi, l’amministratore delegato – perché con la Cina come hub possiamo penetrare anche i mercati di Singapore, Taiwan e altri paesi in mezza Asia dove riusciamo a vendere oltre 250 delle nostre macchine. Macchine sistemate in centri commerciali, ospedali, scuole”.
Insomma un successo, anche se ben presto il sogno si trasforma in un incubo. “Ci siamo accorti dopo un po’ di essere stati fregati perché il nostro distributore cinese ci ha letteralmente clonato. Alcuni clienti infatti ci hanno riferito di avere ricevuto offerte dai cinesi più basse del 30 per cento rispetto alle nostre”, spiega ancora Torrisi che ha raccontato questa sua storia anche al vicepremier Luigi Di Maio quando lo scorso luglio visitò gli stabilimenti di Oranfresh in Sicilia. “Il nostro distributore cinese ha comprato da noi 300 macchine e poi ha iniziato a spacciarsi al posto nostro, con documenti falsi, tra cui la mia firma. Dopodiché ci hanno copiato la macchina, il catalogo e anche il sito. Mentre in Italia siamo costretti a contare i disoccupati, in Cina con un milione di euro di investimenti ci hanno rubato il nostro khow how”, annota l’imprenditore che è preoccupato per questa eccessiva apertura al Dragone cinese.
“A noi i cinesi hanno tirato un bel tarocco”, sorride amaro Torrisi. Dove il tarocco non è solo l’arancio simbolo della Sicilia ma anche il bidone che hanno ricevuto e che ha creato un bel po’ di danni in un’azienda che impiega, con tutto l’indotto, circa 300 persone. “Si parla di fare business con i cinesi, giusto. Ma il problema dei brevetti da difendere non può essere dimenticato – continua – e l’assistenza del governo e delle istituzioni italiane deve essere vera anche perché queste cause sono molto costose e dagli esiti incerti”. Già di contenziosi come quelli di Oranfresh ce ne sono molti aperti con Pechino. Il timore degli operatori è che il programma della Via della Seta potrebbe essere anche un modo per aggirare, con intese bilaterali, sia le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) che le convenzioni di Berna e dell’Aia sulla proprietà intellettuale. Un tema, questo ultimo, di perenne contrasto tra Italia e Cina, anche perché il nostro paese è, dopo gli Stati Uniti, quello maggiormente copiato. “Al presidente Xi non saprei che dire – conclude Torrisi – sono in partenza per gli Stati Uniti dove i nostri macchinari sono molto apprezzati così come in altri cinquanta paesi nel mondo”. Anche in Cina lo erano a tal punto che li hanno copiati da cima in fondo.