La manina rossa che lega M5s e Pd
All’ombra del salario minimo e in difesa dei contratti nazionali convergono grillini e dem tramite Cgil
L’introduzione per legge di un salario minimo orario è destinata a promuovere una sostanziale convergenza il M5s e il Pd, attraverso la regia della Cgil (con appresso le altre confederazioni). In Commissione lavoro del Senato è iniziato da un paio di settimane l’esame di due disegni di legge: uno – AS 310 – a prima firma Laus, presentato da alcuni senatori di sinistra (pare però che il Pd non lo riconosca come iniziativa del partito); l’altro – AS 658 – promosso dalla presidente pentastellata Nunzia Catalfo.
Il primo ddl si limita a fissare la misura del salario minimo orario a 9 euro, al netto dei contributi previdenziali e assistenziali (secondo l’Inapp questo importo minimo, proprio perché al netto, supererebbe del 20 per cento il valore del salario mediano nazionale) nonché l’ambito di applicazione riferito a tutti i rapporti aventi a oggetto una prestazione lavorativa. Dopo avere stabilito criteri di rivalutazione periodica, il ddl n. 310 affida al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministero per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione, il compito di individuare i Ccnl “di importo inferiore a 9 euro (il riferimento è da intendere al minimo contrattuale indicato nei Ccnl, ndr) a cui estendere le disposizioni sul salario minimo, i casi di esclusione dall’applicazione del salario minimo e le modalità di incremento dei salari di importo superiore al salario minimo stesso. Come ha voluto sottolineare, criticamente, il Cnel, nella sua nota per l’audizione, ‘’la mancanza di compartecipazione da parte degli attori sociali interessati a momenti decisionali particolarmente complessi, rischia di ridurre a un mero atto amministrativo il percorso di adeguamento delle dinamiche salariali alle evoluzioni dei contesti produttivi e alle implicazioni di natura sociale che vi sono sottesi. In tal senso – precisa ancora la nota – occorrerebbe recuperare un adeguato spazio di coinvolgimento delle organizzazioni rappresentative firmatarie dei contratti collettivi nazionali, iniziando dalla previsione di costituire un comitato permanente presso il Cnel’’.
Il ddl 658, invece, sembra redatto sotto la dettatura di Maurizio Landini. Non è la prima volta che il M5s si avvale di elaborazioni della Confederazione di Corso d’Italia (si veda, per tutti, la controriforma dei contratti a termine prevista nel cosiddetto decreto dignità); ma in questa occasione la “manina’’ è troppo evidente e manifesta una conoscenza approfondita, quasi da specialista, delle preoccupazioni e dei problemi sollevati, in materia di salario minimo legale, dai sindacati. Tanto che le risposte non mancano e sono ben visibili. Quale è il principale cruccio dei sindacati? Lo scrivono sulla nota depositata in Commissione: “Evidenziamo, inoltre, come la sola definizione di un salario minimo legale orario, se non dovesse riconoscere valore legale ai minimi salariali predisposti dai Ccnl, ben difficilmente riuscirebbe a garantire quel ‘trattamento economico complessivo’ che la contrattazione collettiva ha ormai sancito in ogni comparto lavorativo, così come le forti tutele normative da essa garantite’’. In altre parole, in Italia, in mancanza dell’attuazione dell’articolo 39 Cost. (a cui è collegata la mancata efficacia erga omnes dei contratti collettivi nazionali), una giurisprudenza consolidata ha provveduto, tramite l’interpretazione dell’articolo 36 Cost., a riconoscere ai minimi tabellari contrattati di corrispondere alla retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa’’. Di conseguenza, Cgil, Cisl e Uil chiedono “che per rispettare e consolidare il ruolo salariale svolto dai sindacati e dalla contrattazione collettiva sia possibile assumere i minimi tabellari dei Ccnl come salario orario minimo per legge, in modo da garantire queste tutele retributive adeguate e indispensabili’’. Ed è per queste ragioni che le confederazioni finiscono per apprezzare che “il Ddl 658 (proprio quello “grillino”, ndr), nel combinato disposto dagli artt. 2 e 3, stabilisce che in prima battuta la retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi dell’Art. 36 della costituzione, è quella stabilita dal trattamento economico complessivo dei Ccnl, a partire da quelli stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale in ogni categoria’’. E in seconda battuta? Il ddl stabilisce che tale retribuzione non possa essere comunque inferiore a 9 euro all’ora al lordo degli oneri previdenziali e assistenziali. E come la mettiamo con la proliferazione dei contratti collettivi nazionali che, dal 2012 al 2017, sono passati da 549 a 823 (nel solo settore edile da 28 a 63)? Ci pensa il ddl Catalfo a sancire che, in presenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili, il trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente non può essere inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa, e in ogni caso non inferiore all’importo di 9 euro lordi all’ora. Bene. Ma per fornire un’ulteriore garanzia ai sindacati, il ddl n. 658 prevede che, ai fini del computo comparativo di rappresentatività del contratto collettivo prevalente, si applicano per le organizzazioni dei lavoratori i criteri associativi ed elettorali di cui al testo unico della rappresentanza del 10 gennaio 2014 sottoscritto da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil; mentre per le organizzazioni dei datori di lavoro valgono i criteri contenuti nel medesimo accordo. Insomma, i pentastellati non scherzano: blindano i contratti collettivi delle organizzazioni più rappresentative, riconoscendo loro un ruolo primario; stabiliscono per legge che quei minimi sono in linea con quanto sancito dall’articolo 36 Cost.; inchiodano le retribuzioni orarie a 9 euro lordi (secondo l’Inapp ne beneficerebbe il 14,6 per cento dei lavoratori per un costo di 4 miliardi di euro). Non starà nascendo una cordiale amicizia all’oscuro della sinistra?