Perché l'intesa franco-italiana resiste nell'esplorazione spaziale
Ottomila dipendenti nel mondo con ricavi globali per 2,6 miliardi di euro nel 2017. Tra i tanti dossier aperti con Parigi, quello di Thales Alenia Space Italia sembra funzionare
Roma. Ci sono almeno cinque dossier aperti tra Italia e Francia. Mentre si sa poco o nulla sulla fusione che potrebbe cambiare lo scenario dell’auto in Europa e anche in America, ovvero le nozze tra Fca e Peugeot, la disputa più clamorosa sono le “occhialate” che si stanno lanciando Essilor e la Luxottica del patron Leonardo Del Vecchio su chi deve portare i pantaloni. Tralasciando la trentennale telenovela sulla Tav, altro fronte caldo è quello delle telecomunicazioni. Da parecchi mesi è in atto uno scontro – appena sopito con una tregua nell’ultima assemblea della settimana scorsa – dentro Tim tra il primo azionista Vivendi, che possiede il 23,9 per cento, e il fondo attivista americano Elliott, sostenuto dalla Cassa depositi e prestiti appena arrivata al 9,9, per il controllo del consiglio di amministrazione. E poi c’è il capitolo sospeso della cantieristica navale, ovvero il matrimonio tra Fincantieri e Stx con l’Antitrust europeo che ha acceso un faro sul progetto di acquisizione e con il governo francese sempre indeciso se pigiare il piede sulla grandeur o arrivare a soluzioni più miti.
Chi invece rivendica un buon rapporto con la casa madre francese è Thales Alenia Space Italia nel settore dei sistemi e delle infrastrutture spaziali. Nata dalla joint venture tra la francese Thales (67 per cento) e l’italiana Leonardo (33), conta 8mila dipendenti nel mondo con ricavi globali per 2,6 miliardi di euro nel 2017. Le polemiche delle scorse settimane, quando i rapporti tra il governo italiano – per via delle uscite sui gillet gialli e, successivamente, delle critiche sulla politica del presidente Emmanuel Macron – e francese non hanno scalfito il tamburo di marcia con cui la società sta ultimando i piani per i nuovi satelliti da spedire nello spazio. “Noi, come Thales Alenia Space Italia – dice al Foglio l’amministratore delegato Donato Amoroso – continuiamo con il solito impegno a soddisfare le richieste dei clienti e le collaborazioni internazionali sia in ambito istituzionale sia di export. Insomma, l’Industria Spaziale Italiana va avanti”.
Nel 2018 il settore delle telecomunicazioni ha inciso nel portafoglio di Thales Alenia Space per il 40 per cento del totale. Anche se la responsabilità del business delle telecomunicazioni ricade sotto la Francia, l’apporto della divisione italiana risulta fondamentale, essendo specializzata anche nei carichi utili cosiddetti flessibili di ultima generazione e in quelli digitali per applicazioni sia civili sia militari, tanto che una parte consistente dei profitti viene consolidata in Italia. Il portafogli ordini di Thales Alenia Space ha un valore, in Italia, di 700 milioni di euro l’anno, a seguito di commesse sia istituzionali sia export distribuite non solo nel campo delle telecomunicazioni ma anche nell’osservazione della terra e nell’esplorazione e scienza. “Nel corso degli ultimi anni – dice Amoroso – Thales Alenia Space ha rafforzato la sua posizione che ha portato all’apertura di nuovi mercati e all’acquisizione di nuovi clienti, a cominciare dalla Russia per passare al continente americano fino al sud est asiatico, in particolare in Corea del Sud e in Cina. Nei prossimi anni i programmi sono legati all’esplorazione, come ExoMars (all’orizzonte, dopo Marte, ci sono la Luna e la realizzazione del programma Space Rider), all’osservazione della terra con lo sviluppo della nuova generazione fino alla Navigazione con il rinnovo della costellazione Galileo”.
Tra i tanti dossier aperti con la Francia, quello di Thales Alenia Space Italia sembra funzionare a testimonianza di un’Italia che va oltre le polemiche politiche. Il comprato aerospaziale muove oltre 380 miliardi di dollari l’anno a livello globale e che per Morgan Stanley è un valore che triplicherà entro venti anni. Una ricerca effettuata dall’Asi con il dipartimento di Economia dell’Università di Roma Tre ha rilevato che ogni euro investito nelle attività spaziali ne produce 11 di ritorno economico sul territorio. Non sono numeri da “balle spaziali”.