L'autodenuncia del governo. Le bozze del Def certificano il fallimento del cambiamento populista
Aumentano il disavanzo, il debito pubblico, la pressione fiscale e la disoccupazione. L'impatto delle principali misure della manovra sarà praticamente nullo
Alla fine il Mef rimette le virgole e gli zeri al loro posto. Così per il 2019 il deficit, che Rocco Casalino e la legge di Bilancio avevano fissato al 2,04 per cento torna al 2,4 per cento, e la crescita economica che il governo aveva indicato all'1 per cento nell'ultimo documento ufficiale diventa 0,1 per cento nel quadro tendenziale. Il tendenziale di crescita sale poi 0,2 per cento nel quadro programmatico per effetto di due recenti provvedimenti, il “decreto crescita” e lo “sblocca cantieri”, che dovrebbero produrre un punto decimale di crescita aggiuntiva. Ma siamo sempre lì, attorno allo zero, al livello delle stime date da tutte le istituzioni internazionali contro cui si sono scagliati in queste settimane i principali esponenti del governo che ora approvano previsioni simili.
Al di là delle polemiche, i dati presenti nella bozza del Documento di Economia e Finanza portata in discussione in Consiglio dei ministri sono una specie di atto di autodenuncia del governo per la sconsideratezza della propria politica economica: aumento del disavanzo, aumento del debito pubblico, aumento della pressione fiscale, aumento della spesa per interessi, aumento della disoccupazione, riduzione dell'occupazione, impatto praticamente nullo delle principali misure della manovra.
Partiamo da questo ultimo punto: che effetto avranno sul pil il Reddito di cittadinanza e Quota cento? Secondo la valutazione del ministero dell'Economia l'impatto delle due misure sulla crescita sarà di appena lo 0,2 per cento: in pratica lo stato spenderà circa 11 miliardi (lo 0,6 per cento del pil) per avere una crescita di circa 3,5 miliardi (lo 0,2 appunto). Questo è, se tutto va bene, il grande “effetto moltiplicatore” di cui tanto parlano i partiti di maggioranza stimato dallo stesso governo. Inoltre i due provvedimenti, che secondo le intenzioni e gli annunci del governo dovrebbero creare occupazione attraverso i fantomatici “navigator” e la mitologica “staffetta generazionale”, distruggeranno posti di lavoro. Secondo le stime del Def, il Reddito di cittadinanza e Quota cento faranno diminuire l'occupazione dello 0,2 per cento e aumentare la disoccupazione dello 0,4 per cento (che nel 2019 salirà all'11 per cento, anche per effetto di un leggero aumento della forza lavoro). A questo bisogna aggiungere che l'esplosione della spesa corrente in deficit per finanziare il non-lavoro ha fatto schizzare verso l'alto il rendimento dei titoli di stato (lo spread), pertanto alla fine l'effetto complessivo di reddito di cittadinanza e quota cento su crescita e finanza pubblica è senza dubbio negativo. Una martellata sul dito (degli italiani).
Anche perché a fronte di benefici praticamente nulli e all'impatto negativo sul pil – che però il governo attribuisce alle “peggiorate prospettive di crescita del resto del mondo e del commercio internazionale” – la politica economica del governo espone il paese a un rischio enorme di sostenibilità del debito pubblico. “A prescindere dalle regole di bilancio, è necessario ridurre gradualmente il rapporto debito/pil per rafforzare la fiducia degli investitori in titoli di Stato e abbattere gli oneri per interessi. I rendimenti a cui lo Stato si indebita sono un termometro della fiducia nel Paese e nelle sue finanze pubbliche. Inoltre, essi giocano un ruolo cruciale nel determinare le condizioni di finanziamento per le banche e le aziende italiane”, il governo ammette ciò che ha sempre negato. Perché nei documenti ufficiali non può ignorare completamente la realtà. Dopo anni di stabilizzazione, il debito pubblico torna a salire e con una dinamica piuttosto preoccupante: “Il rapporto debito/pil nel 2018 è salito al 132,1 per cento, dal 131,3 del 2017” ed è “previsto salire al 132,7 per cento del pil pur includendo proventi da privatizzazioni pari all’uno per cento del pil”. Vuol dire che, al netto di privatizzazioni da 18 miliardi praticamente impossibili – nel resto del Def si parla infatti ottimisticamente di 0,3 per cento –, alla fine dell'anno il debito pubblico supererà abbondantemente il 133 per cento. E ciò che preoccupa di più gli investitori – e fa aumentare lo spread – non è tanto il livello del debito già di per sé elevato ma la sua dinamica, ovvero il fatto che continui a crescere. C'è sicuramente un rallentamento della congiuntura internazionale, ma questo aggrava le responsabilità di un governo che ha esposto il paese a rischi così grandi in una fase così delicata.