Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico (Foto LaPresse)

Anche il Mef smentisce ufficialmente il “teorema di Tridico”

Luciano Capone

Per il presidente dell’Inps il RdC doveva regalare 12 miliardi di spazio fiscale. Il Def dice di no: l’effetto sull’output gap è nullo

Roma. Pasquale Tridico ha lanciato una vecchia-nuova idea: lavorare meno, lavorare tutti. O meglio, ha (ri)proposto una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, la ricetta perfetta per far aumentare la disoccupazione in un paese in stagnazione di crescita e produttività. Invertendo causa ed effetto, una metodologia inversa già sperimentata per altre proposte come il reddito di cittadinanza, il nuovo presidente dell’Inps sostiene che sarebbe l’aumento per decreto del costo del lavoro a far salire la produttività. La logica suggerirebbe di fare l’opposto, e cioè accrescere la produttività per poter far salire i salari (o ridurre l’orario di lavoro, preferibilmente secondo una contrattazione decentralizzata) e varie esperienze, a partire da quella francese, suggerirebbero di non percorrere questa strada contromano.

 

In ogni caso ciò che è interessante non è la nuova fantateoria di Tridico, ma la definitiva smentita di quella – altrettanto fantasiosa – che gli è valsa come premio proprio la presidenza dell’Inps: nel Def il governo – e più precisamente i tecnici del Mef – hanno dimostrato l’infondatezza di quello che abbiamo ribattezzato “teorema di Tridico”. Prima da fantaministro del M5s e poi da consigliere del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, l’economista di Roma Tre ha affermato che il reddito di cittadinanza avrebbe garantito al governo 12 miliardi di spazio fiscale aggiuntivo: in pratica, spendere 6 miliardi di sussidi in deficit ne avrebbe regalati al governo il doppio da spendere sempre in deficit l’anno successivo e nel pieno rispetto delle regole europee. Il meccanismo funziona così: il reddito di cittadinanza “attiva” 1 milione di individui nel mercato del lavoro, facendo così salire il tasso di partecipazione al lavoro, che a sua volta fa aumentare il pil potenziale: di conseguenza si amplia l’“output gap” – cioè la differenza tra pil potenziale e pil reale – che è l’indicatore usato dalla Commissione europea per depurare il bilancio dagli effetti del ciclo economico. E quanto più ampio (e negativo) e l’output gap, tanto più si possono fare politiche espansive.

 

  

Alcuni economisti – e ancor meno giornali – hanno provato a spiegare che le cose non stanno proprio così, che questo artificio non avrebbe liberato alcuna risorsa, ma alla fine questa specie di trucco contabile che trasforma per decreto gli inattivi in disoccupati, diventando una sorta di macchina del moto perpetuo del disavanzo, è entrata persino nella relazione illustrativa del decretone: con la sola imposizione del reddito di cittadinanza l’output gap dell’Italia sarebbe quadruplicato, passando da -0,59 a -1,98 (1,4 punti in più). Non soddisfatto, appena premiato con il nuovo incarico, Tridico ha convertito al suo teorema anche l’Inps, che lo ha esposto in audizione.

 

Ebbene, ora è proprio il governo a dire che Tridico l’ha sparata grossa. Gli economisti del Mef, che da anni lavorano sulla metodologia dell’output gap e a lungo si sono confrontati e scontrati con la Commissione sulla sua misurazione, hanno dedicato un lungo e serio approfondimento alla questione. Al termine di un elaborato e sofisticato esercizio che include tutte le variabili in gioco (che sono tante e complesse), il Mef ha valutato l’impatto del reddito di cittadinanza sul pil potenziale e sull’output gap: il risultato è che l’output gap si amplia come dice Tridico, ma quattordici volte di meno rispetto a quanto sostiene Tridico. Non 1,4 punti ma 0,1. Non 12 miliardi, ma qualche centinaia di milioni. In ogni caso siamo prossimi all’errore statistico, anche perché considerando pure quota cento dal 2020 l’effetto sull’output gap è nullo: zero.

 

Presto i tecnici del Mef saranno a Bruxelles per discutere anche di questi temi con la Commissione in vista delle previsioni di primavera e, per fortuna, non lo faranno con teoremi fantasiosi ma su basi concrete, serie e realistiche. Anche l’Inps merita lo stesso approccio e lo stesso rigore scientifico.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali