Cosa ci dice sulla salute del governo la “corte” ad Atlantia per Alitalia
Il pressing del governo sulla holding dei Benetton rivela la condizione disperata del salvataggio della compagnia in panne
Roma. La pressione esercitata con spin mediatico dal governo Lega-M5s su Atlantia per investire in Alitalia rivela la condizione disperata del salvataggio della disastrata compagnia aerea. “Vogliamo chiudere entro breve il dossier Alitalia nonostante sia molto complesso. Faremo un tavolo a Palazzo Chigi”, ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con l’intenzione di coinvolgere la famiglia Benetton, padrona dalla holding Atlantia che controlla Autostrade (Aspi) e Aeroporti di Roma (Adr).
Non ci sono state comunicazioni ufficiali tra il governo e la compagnia dei Benetton. Un mese fa ci sono stati colloqui tra le Ferrovie dello stato, investitore principale formalmente coinvolto nel potenziale salvataggio, e il suo advisor Mediobanca con Atlantia per verificare interesse. Sono seguiti incontri operativi con Adr nei quali la società che gestisce l’aeroporto di Fiumicino ha fornito consulenza per migliorare il piano industriale di Alitalia in caso di ristrutturazione.
Fs verrebbe coinvolta come azionista principale con il 30 per cento di una nuova società liberata dai debiti, mentre di investitori con esperienza nel trasporto aereo non c’è certezza. L’americana Delta Airlines potrebbe partecipare con una quota del 10 per cento ma è difficile che sia interessata a non avere controllo dell’azienda vista l’esigua partecipazione azionaria. La compagnia low-cost Easyjet si è sfilata perché non interessata. I rumor su un intervento di una compagnia cinese sono ricorrenti ma fragili, in quanto anche in Cina conoscono la conflittualità sindacale della compagnia italiana. In questa partita le abbiamo sentite tutte: da Cassa depositi e prestiti che doveva diventare una compagnia di leasing fino a Eni che doveva rifornirla di carburante. Non ci sono alternative se non quella di fare pressione su Atlantia per obbligarla a entrare in partita e dare credibilità all’operazione. D’altronde sarebbe coerente con quanto visto nei mesi scorsi dopo il crollo a Genova del ponte Morandi gestito da Autostrade: il governo aveva minacciato la revoca delle concessione autostradali a mo’ di punizione per il disastro anche se ancora le indagini sono in corso. La procedura di revoca delle concessioni si è arenata nella fase interlocutoria, con scambi di lettere tra ministero dei Trasporti e Atlantia e, oggi, risulta un’arma spuntata. Atlantia prima era il diavolo ora è invocata come salvatrice. Niente revoca, al momento. Ma per Benetton entrare in Alitalia sarebbe comunque una specie di sanzione: perché anche se arrivasse un investimento di 800 milioni, con una parte di prestito ponte e quindi non nuova liquidità, dove può andare una compagnia malandata a trazione statale nell’aviazione moderna? A sbattere. Atlantia non avrebbe nemmeno interesse a essere coinvolta come nei salvataggi precedenti, con la Compagnia aerea italiana dei capitani coraggiosi e con il successivo ingresso dell’emiratina Etihad, perché ora il traffico di Alitalia sull’aeroporto romano gestito da Adr è sempre meno importante, visto che il mercato cresce più velocemente della compagnia italiana. La differenza rispetto ai salvataggi precedenti è che nel 2008 il governo Berlusconi riuscì a unire venti azionisti italiani capitanati dalla prima banca del paese, Intesa Sanpaolo. Mentre nel 2014 il governo Letta riuscì a coinvolgere la terza compagnia mediorientale, Etihad. Questo governo senza credibilità internazionale non riesce a trovare nessun investitore, se non forzando aziende pubbliche, come Fs, o premendo su società concessionarie, come Atlantia.
Mancano pochi giorni alla scadenza della proroga dell’offerta di Fs e solo due mesi e mezzo alla restituzione del prestito ponte. In gioco rimane il contribuente pubblico, ancora una volta. Sentiremo ancora tanto ottimismo da parte del governo mentre Alitalia crolla.