In ginocchio da Atlantia. I Benetton trattano per Alitalia piegando il governo
L’ad del gruppo dei Benetton in occasione dell’assemblea degli azionisti di giovedì ha detto di non potere aprire il dossier Alitalia perché la società ha troppi fronti aperti
Roma. Il governo aveva fatto la voce grossa nei confronti del gruppo Atlantia, proprietario di Autostrade, in seguito al crollo del ponte Morandi minacciando la revoca delle concessioni autostradali, azione potenzialmente esiziale per la compagnia della famiglia Benetton. Il ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, aveva chiamato i padroni di Atlantia dei “prenditori”. La minaccia della revoca è stata portata avanti anche dal ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, il quale alla notizia che l’ad, Giovanni Castellucci, per la chiusura della fusione con il gruppo spagnolo Abertis, riceverà 3,7 milioni di euro in bonus e incentivi, aveva twittato: “Non servono commenti di fronte a premi milionari erogati dopo tragedia #Genova, serve una rivoluzione del sistema concessioni: quella che stiamo facendo”. A otto mesi di distanza, coi lavori di demolizione del Morandi che vanno a rilento, le ostilità tra governo e Atlantia sembrano attenuarsi. La postura governativa verso i Benetton è cambiata: se prima erano maltrattati ora sono da tenere da conto. Ultimamente il governo ha fatto pressione su Atlantia affinché entri nel salvataggio di Alitalia perché non ci sono investitori disposti a imbarcarsi nella ristrutturazione di una delle aeree compagnie peggiori d’Europa a due anni dal suo commissariamento. Così ora il governo si trova in una posizione di inferiorità rispetto agli (ex) prenditori.
L’ad del gruppo dei Benetton, cui fanno capo concessionarie di autostrade e la gestione degli aeroporti di Roma, Castellucci, in occasione dell’assemblea degli azionisti di giovedì ha detto di non potere aprire il dossier Alitalia perché la società ha troppi fronti aperti. “Uno in più non ce lo possiamo permettere in questo momento”, ha detto. La dichiarazione corrisponde a un diniego temporaneo subordinato alla soluzione di diverse questioni di competenza dell’esecutivo: si aprirebbe una trattativa che vede Atlantia in posizione di forza. Le condizioni le ha poste Castellucci stesso elencando i dossier aperti. Il governo aveva minacciato la revoca delle concessioni come una sorta di punizione per il crollo del ponte di Genova che il 14 agosto scorso ha causato la morte di 43 persone. Su questo è in corso uno scambio di lettere tra il ministero delle Infrastrutture e Autostrade. Per Castellucci un’attenuazione del conflitto è il primo punto da affrontare. Il secondo sono le autorizzazioni necessarie del ministero delle Infrastrutture per aprire i cantieri della Gronda di Genova e del Passante di Bologna del valore di 4,9 miliardi di euro. Il terzo sono le tariffe autostradali e aeroportuali da rivedere anche per le concessioni in essere. Un mese fa ci sono stati colloqui tra le Ferrovie dello stato, investitore principale coinvolto nel salvataggio, e il suo advisor Mediobanca con Atlantia per verificare interesse. Sono seguiti incontri operativi con Aeroporti di Roma nei quali la società che gestisce lo scalo di Fiumicino ha fornito indicazioni per un piano industriale di Alitalia. Per creare una nuova società però mancano azionisti. Le adesioni finora sono inferiori al 60 per cento del capitale: Fs (30 per cento circa), ministero dell’Economia (15), l’americana Delta Airways (10), l’unico partner industriale. Un ingresso di Atlantia eventualmente dovrebbe prevedere un aumento della quota di Fs (per ipotesi un 35 per cento circa a testa). Per Atlantia sarebbe un esborso esiguo, di circa 300 milioni. In passato i Benetton erano intervenuti nei salvataggi di Alitalia – con Berlusconi e la cordata Cai (2008) restando poi con Letta-Renzi e Etihad (2013-’14) – perché era un vettore importante per il traffico sugli aeroporti di Roma dal quale arrivava circa il 60 per cento dei ricavi aeronautici, ora il 27 per cento. Il vantaggio per Alitalia sarebbe che almeno uno degli azionisti (oltre a Delta) ha esperienza nel settore aereo. Per il contribuente non ci sarebbe nessun vantaggio se lo stato resta socio di maggioranza. Il prestito pubblico da 900 milioni di euro non verrà più restituito alla scadenza di fine giugno perché il governo ha intenzione di cancellare il termine, stando alle bozze del decreto crescita rivelate dal Sole 24 Ore, e gli interessi del prestito dovrebbero essere convertiti in azioni Alitalia. I soldi dei contribuenti sono così sacrificati, ammesso che la Commissione europea consenta un palese aiuto di stato.