La realtà è un altro film
Sfiducia di imprese e consumatori con occupazione calante sono un dramma
Gli indici di fiducia di imprese e consumatori comunicati ieri dall’Istat sono calati ad aprile raggiungendo, nel secondo caso, il livello più basso da agosto 2017. Tra le imprese la discesa è da 99,1 di marzo (corretto dal provvisorio 99,2) a 98,7. A dicembre eravamo a 99,8. Tra i consumatori l’indice passa da 111,2 a 110,5 in un mese; a dicembre era a 114,7. Per l’industria l’Istat parla di “debolezza dell’attuale fase ciclica”, più lieve nella manifattura (due decimali) e maggiore nei servizi e nel commercio al dettaglio, rispettivamente di 1,1 e 3,9 punti. Quanto ai consumatori, che per buona parte del 2018 erano risultatati ottimisti forse in attesa delle misure del governo, l’inversione è ancora più brusca. Oltre alla terza riduzione consecutiva e al livello minimo in quasi due anni, l’Istat registra “un deterioramento in tutte le sue componenti: in misura maggiore il clima economico, personale e corrente, e più contenuta anche per il clima futuro”. Gli indici relativi perdono 1,2 punti (clima economico), 0,9 (clima personale e corrente), 0,3 punti (clima futuro). La sfiducia dei consumatori si riflette innanzitutto sul commercio, che sul fronte imprese oltre a subire la perdita più marcata di fiducia accusa un saldo negativo tra entrate e uscite.
Dunque se due giorni fa il governo – anzi il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio – aveva abbozzato un brindisi dopo le stime di un piccolo rialzo del pil nel primo trimestre 2019 contenute nel Bollettino economico della Banca d’Italia, la realtà di oggi e la previsione di ciò che riserva il futuro, dovrebbero riportare tutti con i piedi per terra. A leggerlo bene il documento della Banca d’Italia non induceva affatto all’ottimismo. Il ritorno al segno più sulla crescita, in attesa del dato preliminare Istat del 30 aprile, è accompagnato da una serie di caveat: il più importante è che i mercati aspettano di verificare se l’Italia manterrà i conti almeno nel precario equilibrio attuale (il Def, come è noto, incorpora l’aumento Iva; benché ieri una mozione della maggioranza l’abbia sconfessato, e per sovrappiù vi abbia aggiunto la promessa di una imprecisata flat tax), oppure se lascerà ancora correre il deficit e il debito.
In questo caso, dice il governatore Ignazio Visco, “tornerà il rischio di credit crunch per Bot e Btp”. Il 26 aprile Standard & Poor’s completerà il primo round di revisioni del rating italiano; attualmente il suo è BBB con outlook negativo, il più basso accettato dagli investitori istituzionali. Ma non è tutto. Di Maio ha anche festeggiato “il record di assunzioni” riferendosi all’aumento di 113 mila contratti a tempo indeterminato segnalati nei primi due mesi dell’anno dall’Osservatorio Inps sul precariato, e attribuendone il merito al decreto dignità. I nuovi posti fissi sono passati da 95.117 di inizio 2018 a 208.560, una performance del 119,1 per cento. Eppure il saldo tra assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro risulta di 372 mila contro i 560 mila del primo bimestre 2018; mentre l’indice generale di disoccupazione sempre censito dall’Istat a febbraio scorso è salito al 10,7 per cento dal 9,7 di agosto scorso: un punto in più in appena sei mesi. Egualmente gli occupati che allora crescevano di 69 mila unità al mese si riducono, sempre al mese, di 14 mila unità. In realtà in questo semestre è accaduta principalmente una cosa: non tanto le incertezze commerciali mondiali, e neppure la frenata industriale della Germania (che certamente esiste ma nel caso si riflette sulla nostra manifattura, non su servizi e consumi interni); quel che si è materializzato sono gli effetti nefasti dell’azione del governo. Quota 100 e reddito di cittadinanza si sono rivelati una truffa dannosa per la crescita. Nessuna staffetta generazionale nel primo caso e solo 400 euro (contro i 780 promessi) per il 71 per cento dei richiedenti (che sono stati meno del previsto), come ha ammesso lo stesso Pasquale Tridico, teorico del reddito di cittadinanza e per questo diventato presidente dell’Inps. E poi Tav, blocco delle infrastrutture, decreto crescita ancora in standby, e da ultimo una maggioranza che minaccia la crisi sulle carte giudiziarie mentre si profila o un maxi-aumento dell’Iva, o un maxi-prelievo per altre vie, o un maxi-collasso del debito con declassamenti del rating sovrano. Nella è stato fatto in un anno, se non in peggio. La si può chiamare come si vuole, recessione o stagnazione, ma a conti fatti non fa molta differenza. Il governo racconta una storia bellissima quando in realtà sta andando in onda un dramma.