Nel Def del disincanto crescono anche imposte e spese per famiglie e imprese
55,3 miliardi di tasse (Iva compresa) e 18,6 miliardi di contributi sociali. “Così si soffoca la crescita”, dice Pucci (Unimpresa)
Roma. In attesa di avere certezze su cosa succederà con l’annunciata flat tax e con l’aumento dell’Iva, due temi rimandati alla prossima legge di Bilancio, il Documento di economia e finanza (Def) approvato dal governo mostra che l’obiettivo elettorale di alleggerire il carico fiscale è lontano. Tra tasse e contributi sociali e previdenziali, famiglie e imprese si ritroveranno a pagare 76,2 miliardi di euro in più nel 2022 rispetto al 2018, mentre la spesa pubblica, compresi gli interessi passivi sul debito, subirà un incremento. La simulazione è del Centro studi di Unimpresa, associazione che rappresenta le micro, piccole e medie imprese italiane, e – come si nota nella tabella in pagina – offre nel dettaglio un quadro di come saranno articolate le entrate tributarie e i contributi sociali nell’arco dei quattro anni di programmazione di cui il Def tiene conto: le due voci, insieme alle entrate correnti dello stato, cresceranno complessivamente del 9,37 per cento. Il dato di partenza sono gli 813 miliardi del 2018, che lieviteranno a 834 miliardi durante l’anno in corso fino a raggiungere progressivamente 890 miliardi nel 2022. Per avere un’idea del carico fiscale complessivo contenuto del documento di governo, Irpef, Ires, Irap e Imu cresceranno del 4,18 per cento, mentre le imposte indirette, come le spese di registro, Iva e accise – tra cui quelle sui carburanti che il vicepremier Matteo Salvini aveva detto di volere abolire – del 17,92 per cento.
“Nel Def, che è un documento programmatico, manca il progetto di riduzione della pressione fiscale – dice al Foglio Claudio Pucci, vicepresidente di Unimpresa – Invece di scendere, il peso delle tasse aumenta: dal 42,1 per cento dello scorso anno, scrive il governo, al 42,5 per cento del 2022. Ci aspettavamo una programmazione in senso opposto. Evidentemente l’idea del governo non è quella di liberare le imprese dal giogo tributario, ma di stringere il cappio sempre di più, soffocando qualsiasi prospettiva di crescita e sviluppo”. Lo sforzo fiscale, nota infatti il documento, viene richiesto a fronte di una crescita “assai modesta”, viste le stime sul pil che lo stesso governo prevede nel Def.
Quest’anno, con le clausole di salvaguardia bloccate che impediscono l’aumento dell’Iva, a registrare la crescita maggiore per famiglie e imprese sono i contributi di previdenza e assistenza, una voce di spesa che si riflette sul costo del lavoro. Così, nel 2019 lo stato incasserà 250,5 miliardi rispetto ai 234,9 dell’anno scorso. Nel 2020 e nel 2021 le spese di previdenza torneranno a scendere, calcola il Centro studi, per poi raggiungere nel 2022 253,6 miliardi. Nel complesso si tratta di un aumento di 18,6 miliardi in quattro anni (più 7,95 per cento).
Anche l’incremento delle tasse – dirette e indirette – inizia già da quest’anno (506,8 miliardi invece che 503,9), ma dal 2020 gli effetti saranno più marcati. Salvo interventi correttivi da attuare nella prossima manovra, le entrate tributarie su cui lo stato potrà contare saranno pari a 535,2 miliardi, in crescita stabilmente per tutto il quadriennio del Def fino a raggiungere la cifra di 559,3 miliardi nel 2022. Una variazione di 55,3 miliardi (10,98 per cento in più). Liquidità che serve a garantire l’attuazione di misure come quota 100 e il reddito di cittadinanza che per stessa ammissione del Def hanno un impatto minimo sulla crescita del paese, di appena lo 0,2 per cento.