Occhio: l'Italia è il maiale d'Europa

Claudio Cerasa

Oltre il rating. L’isolamento del nostro paese non riguarda solo la diplomazia ma riguarda prima di tutto l’economia. Siamo diventati il malato d’Europa, l’unico tra i vecchi “Piigs” ad aver invertito il percorso di crescita. Tre piste da seguire

Lo ha detto due giorni fa la Bce, lo ripetono ogni giorno gli investitori, lo confermano periodicamente le proiezioni dell’Ocse, lo ribadiscono ogni mese le analisi del Fondo monetario internazionale e lo continueranno a ricordare in ogni modo possibile tutte le agenzie di rating che, declassamento o non declassamento, da tempo segnalano quello che un pezzo d’Italia non vuole vedere: improvvisamente, siamo diventati il malato dell’Europa. O, se volete, come si sarebbe detto un tempo, per le ragioni che vedremo, l’unico tra i paesi maiali, i famosi Piigs, ad aver scelto di rientrare nel porcile, dopo averne messo per molto tempo il muso fuori. Non sappiamo ancora quale sarà il destino di questa legislatura. Non sappiamo ancora se la Lega deciderà di far saltare tutto già prima delle europee. Non sappiamo ancora se il caso Siri si trasformerà in una semplice crisi tra alleati o in una vera crisi di governo. Ma sappiamo che comunque andranno le cose il primo anno del cambiamento populista ha regalato all’Italia un isolamento, all’interno dell’Europa, che non è più solo di carattere diplomatico, ma che è diventato prima di tutto e pericolosamente di carattere economico. Giovedì scorso, su questo giornale, Silvio Berlusconi ha ricordato che un paese che cresce poco e che spende molto e che perde ogni giorno un po’ di credibilità e che non si preoccupa del suo debito pubblico rischia di andare velocemente verso la bancarotta. Bancarotta è forse un’espressione esagerata ma a prescindere dal giudizio dato ieri sera da Standard & Poor’s sul rating italiano c’è un dato importante che può spiegare meglio di mille retroscena su Siri per quale ragione Salvini si ritroverà prima del previsto di fronte a una scelta che suona grosso modo così: è meglio oppure no far cadere questo governo prima che gli italiani possano comprendere bene cosa hanno combinato insieme Salvini e Di Maio alla settima economia più importante del mondo? Per capire qualcosa di più sull’isolamento economico dell’Italia – e sulla nostra condizione da simpatici maialini d’Europa – ci sono almeno tre dossier che meritano di essere studiati con un’attenzione non inferiore a quella dedicata alle intercettazioni su Armando Siri. Il primo dossier riguarda un report interessante pubblicato pochi giorni da BofA Merrill Lynch, relativo ai risultati di un sondaggio condotto a livello globale e regionale tra i gestori di fondi. In un paragrafo del report si misura il sentiment degli investitori europei rispetto ai principali mercati azionari nazionali. E anche per questo mese l’Italia resta la nazione meno preferita dagli investitori – meno ancora della Gran Bretagna della Brexit – con un 30 per cento netto di intervistati che dichiara l’intenzione di voler ridurre la propria esposizione sul mercato azionario italiano nel corso dei prossimi dodici mesi. Il secondo dossier riguarda un altro report molto interessante e drammaticamente significativo, pubblicato due giorni fa dalla Bce all’interno del suo report mensile sullo stato dell’economia non solo europea. In pochi lo hanno notato, ma nel suo Bollettino economico la Bce ha certificato che in Europa il debito scende, mentre in Italia sale, che in Europa l’occupazione migliora, mentre in Italia peggiora, e che in Europa i redimenti dei titoli di stato decennali migliorano, mentre in Italia peggiorano. Dal 7 marzo al 9 aprile del 2019, scrive la Bce, il rendimento ponderato per il pil dei titoli di stato decennali nell’area dell’euro è diminuito marginalmente di circa cinque punti base, portandosi allo 0,72 per cento. Nello stesso periodo, i rendimenti dei titoli di stato decennali sono scesi di circa quindici punti base negli Stati Uniti e di poco meno di dieci punti base nel Regno Unito, rispettivamente al 2,50 e all’1,10 per cento. 

 

Per l’Italia, scrive la Bce, la storia è invece diversa e i differenziali delle obbligazioni sovrane sono cresciuti di 16 punti base, portandosi appena al di sopra del 2,2 per cento. Lo stesso vale per il lavoro. Nell’Eurozona, scrive ancora la Bce, l’occupazione è aumentata dello 0,3 per cento nell’ultimo trimestre del 2018, a seguito di un incremento dello 0,2 per cento nel trimestre precedente, e gli indicatori di breve periodo del mercato del lavoro segnalano una crescita dell’occupazione positiva nel primo trimestre del 2019 e un tasso di disoccupazione medio in leggero calo, che dal 7,9 per cento dell’ultimo trimestre del 2018 è passato al 7,8 per cento di gennaio. Nello stesso periodo, in Italia il tasso di disoccupazione è aumentato a gennaio rispetto a dicembre, dal 10,7 al 10,8 per cento, e negli ultimi mesi del 2018, al posto di salire come successo in tutta l’Eurozona, in Italia il numero di persone occupate è diminuito rispetto al trimestre precedente, di circa 36 mila unità: meno 0,2 per cento. Lo stesso discorso vale per il debito pubblico. Tra ottobre e dicembre dello scorso anno, il rapporto tra debito e pil dell’Eurozona è sceso all’85,1 per cento, con una riduzione rispetto allo stesso periodo del 2017 dell’1,9 per cento. In Italia, invece, nello stesso periodo, il debito è aumentato dello 0,8 per cento, e con preoccupazione la Bce nota che il fatto che ci siano paesi (come l’Italia ma in questo caso, sul terreno del debito pubblico, l’Italia non è sola ed è accompagnata anche da Belgio e Francia) che “non hanno costituito margini di bilancio tali da consentire loro di evitare un inasprimento delle politiche di bilancio nella prossima fase di rallentamento può avere conseguenze sulla capacità di tenuta dell’intera area dell’euro”.

 

A tutto questo va poi aggiunto un aspetto notato bene su questo giornale martedì scorso dal nostro Renzo Rosati. In Italia lo spread si trova vicino a 270 punti base, due volte e mezzo quello della Spagna e oltre il doppio del Portogallo (lo spread sale da giorni in modo quasi fisiologico, costante, senza una ragione economica precisa, cosa che rende il fenomeno molto preoccupante). In Grecia, il rendimento dei titoli di stato è al 3,2 per cento, ma è in discesa da quando a fine 2018 la Bce ha sospeso gli acquisti del Quantitative easing. I titoli portoghesi e spagnoli rendono meno rispetto a gennaio e anche qui solo l’Italia è in controtendenza: i Btp pagavano il 2,5 per cento al 31 dicembre, oggi pagano il 2,7. Berlusconi forse esagera quando dice che l’Italia è a un passo dalla bancarotta. Ma c’è un dato di fatto difficilmente contestabile. L’Italia è l’unico paese dell’Eurozona in recessione tecnica. E’ l’unico paese dell’Ocse (insieme alla Turchia) che piuttosto che creare posti di lavoro li brucia. Ed è l’unico tra i paesi che un tempo vennero definiti Piigs, acronimo di Portogallo-Irlanda-Italia-Grecia-Spagna, ad aver invertito il senso di marcia e ad essere tornato non più lontano ma più vicino al porcile economico grazie a un’operazione attraverso la quale la politica ha trasformato in un simbolo dell’austerità ciò che semplicemente era il simbolo della credibilità. La traiettoria populista, in altre parole, ha dimostrato che non esistono soluzioni autarchiche a problemi complessi di un mondo interconnesso. Per questo oggi l’Italia è sola in Europa e rischia di essere l’unico pig in un’area e in un mondo che invece, nonostante tutto e tra mille difficoltà, continua a crescere e continua ad aver chiaro che non c’è nulla di più pericoloso per un paese con un debito molto alto che perdere l’unica arma che ha a disposizione per proteggersi dalle crisi e dalle speculazioni: la credibilità. E per questo, prima ancora delle domande a cui dovrà rispondere Salvini sul caso Siri, ce n’è una più politica a cui presto non potrà più sottrarsi: è meglio oppure no far cadere questo governo prima che gli italiani possano capire bene cosa ha combinato Salvini con l’aiuto di Di Maio alla settima economia più importante del mondo?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.