Il rischio di altri cinque anni di fallimenti al Parlamento europeo è molto elevato. Nella foto Luigi Di Maio presenta le donne capolista per le prossime elezioni europee (Foto LaPresse)

I grillini continueranno a cambiare nulla

Veronica De Romanis

In Europa i pentastellati non hanno realizzato nessuna promessa. Andranno avanti così

In questi giorni, il Movimento 5 stelle ha reso noto il suo programma per le elezioni europee del prossimo maggio. Lo slogan adottato è emblematico: “Cinque anni in Parlamento, cinque anni di successi”. Il messaggio è chiaro: votateci e ci saranno altri cinque anni di successi. Ma, davvero, il lavoro svolto dai diciassette europarlamentari grillini è stato un “successo”? Per rispondere a questa domanda è necessario raffrontare le promesse fatte nella precedente campagna elettorale con i risultati ottenuti. Il programma del 2014 conteneva sette punti, di cui ben cinque di natura economica: l’abolizione del Fiscal compact, l’adozione degli Eurobond, l’esclusione degli investimenti dal calcolo del 3 per cento, l’eliminazione del pareggio di bilancio e, infine, il referendum sull’euro.

  

La cifra dell’operato del M5s al Parlamento Ue è fatta di incongruenze e impreparazione. Nulla di quanto detto è compiuto

A oggi, nessuno di questi obiettivi è stato realizzato. Il Movimento non ha portato a termine nulla di ciò che aveva assicurato e che gli aveva consentito di diventare il secondo partito italiano più votato con oltre il 21 per cento dei consensi. I motivi di questo fallimento sono ascrivibili essenzialmente a tre elementi: incongruenza, impreparazione e isolamento.

  

Primo, incongruenza. L’abolizione del Fiscal compact e l’introduzione degli Eurobond sono due azioni che difficilmente possono essere implementate insieme. Senza il Fiscal compact, ogni paese potrebbe aumentare il proprio debito – anche se già elevato e su una traiettoria crescente –, a suo piacimento, indipendentemente dall’impatto sugli altri. Il rischio è quello di innescare un effetto contagio come avvenuto dopo lo scoppio della crisi greca. Nell’autunno del 2009, i mercati finanziari chiusero l’accesso al governo di Atene. Nel contempo, iniziarono a scommettere su chi sarebbe stato il “prossimo” paese in difficoltà. Per continuare a acquistare il debito delle economie più fragili, gli investitori chiesero rendimenti sempre più elevati. E, cosi, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna ma anche l’Italia entrarono in crisi.

 

I primi tre furono soccorsi con salvataggi predisposti dalla Troika e finanziati dai contribuenti europei. L’Italia, invece, riuscì a calmare la tensione sui mercati (lo spread superò i 500 punti base) con dosi massicce di austerità somministrate dal governo Monti, un governo sostenuto da un ampissima maggioranza parlamentare. Per evitare contagi futuri, le regole fiscali europee furono rafforzate con l’adozione del Fiscal compact. Abolire questo accordo significherebbe indebolire l’intera area dell’euro perché sarebbe esposta a maggiori rischi. Peraltro, questi rischi sono proprio quelli che, secondo il M5s, dovrebbero essere condivisi dai diversi stati membri attraverso l’adozione degli Eurobond, ossia titoli di debito europeo. In base alla logica dei grillini, i debiti nazionali, lasciati crescere in assenza di vincoli fiscali, dovrebbero essere assimilati (tutti o in parte) all’interno di un unico debito europeo. Ma, chi mai potrebbe accettare una proposta che prevede di condividere rischi altrui sempre più elevati?

  

Dire di volere abolire il Fiscal compact e di introdurre allo stesso tempo gli Eurobond è una contraddizione logica 

Secondo, impreparazione. Inserire come priorità del programma l’abolizione del pareggio di bilancio significa non aver letto il Fiscalcompact, oppure averlo letto ma non averlo capito. Il Fiscal compact non obbliga gli stati a inserire in Costituzione il pareggio di bilancio. La decisione spetta ai singoli paesi e, infatti, a oggi, è stata presa solo dall’Italia, dalla Spagna e dalla Slovenia. Abolire il pareggio di bilancio è, pertanto, una scelta nazionale che non ha niente a che vedere con l’Europa e con l’attività che un parlamentare europeo svolge a Bruxelles. Pertanto, anche su questo fronte, nulla è stato fatto anche perché nulla poteva essere fatto. L’unica azione che il M5s ha svolto rispetto al Fiscal compact è stata quella di mettere il veto al suo inserimento all’interno dei Trattati: “Il nostro voto è stato decisivo per rigettare l’incorporazione del Fiscal compact nel diritto dell’Unione europea”, precisa l’attuale programma per le europee. A ben vedere, però, il risultato ottenuto è stato opposto di quello sperato: invece di aprire un dibattito su un’eventuale modifica dell’accordo, il veto dei grillini ha contribuito a lasciare le regole così come sono. Quindi, nessuna abolizione e nessun cambiamento dell’accordo.

  

Sono tre i paesi ad avere adottato il pareggio di bilancio, tra questi l’Italia. Abolirlo è una decisione nazionale, l’Europa non c’entra 

Terzo, l’isolamento. Il precedente programma del M5s prevedeva il referendum sull’euro. I grillini a Bruxelles, però, anche su questo punto non sono riusciti a creare alleanze. Il dibattito sulla moneta unica esiste, infatti, solo in Italia: nessun altro vuole uscire dall’unione monetaria e, pertanto, nessun altro ne parla. Anche perché si tratta di un dibattito “costoso”: ciò che è accaduto nell’autunno scorso lo dimostra. Il solo aver fatto intendere a chi investe nel nostro paese che l’Italexit poteva essere un’opzione è costato centinaia di punti di maggiore spread e diversi miliardi di maggiore spesa per interessi.

 

A conti fatti, i cinque anni dei pentastellati in Europa non sono stati “un successo”: nessuna delle promesse in campo economico è stata realizzata. Questa esperienza fallimentare deve, però, essere comunque servita visto che il programma predisposto per quest’anno è molto meno ambizioso. Le priorità per i prossimi cinque anni sono sei e vanno dalla democrazia, all’ambiente, alla tutela del Made in Italy, all’immigrazione e alla lotta alla corruzione. Nel campo più strettamente legato alla governance economica, il documento promette lo “stop all’austerity, la piena occupazione e lo sviluppo sostenibile”. Ancora una volta, non è facile decifrare la strategia che il Movimento intende mettere in campo a Bruxelles per concretizzare questi obiettivi.

 

Unici a parlare di referendum sull’euro (mai avvenuto). Il risultato è stato solo un dibattito tanto solitario quanto costoso

“Stop all’austerity” è uno slogan efficace sul piano mediatico, ma non corrisponde alla realtà dei fatti. Come più volte spiegato dalla Banca centrale europea, la maggior parte dei governi europei sta implementando politiche “moderatamente espansive”. È, semmai, il governo giallo-verde a prevedere - nel Documento di Economia e Finanza approvato di recente dal Parlamento -, dosi significative di austerità attraverso l’incremento dell’Iva necessario a finanziare il reddito di cittadinanza e la quota 100.

 

Per quanto riguarda l’obiettivo sull’occupazione, va ricordato che il mercato del lavoro è una competenza nazionale (forse anche per questo alcuni paesi, come la Germania, hanno già raggiunto una situazione di pieno impiego e altri, come l’Italia registrano un tasso di disoccupazione tra i più elevati dell’area). Promettere la “piena occupazione” a livello europeo significa promettere di trasferire all’Europa poteri che attualmente sono in capo agli Stati nazionali. In questo modo, ad esempio, il reddito di cittadinanza verrebbe disegnato, deciso e implementato da Bruxelles. È questo ciò che davvero vogliono i grillini?

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