Litighiamo coi migliori clienti (Parigi e Berlino) e accarezziamo i deludenti
In Francia e in Germania cresce di più l'export del settore alimentare, in calo tra i nostri alleati del Gruppo di Visegrad. L'analisi di Sace
Roma. Litighiamo con i nostri migliori clienti e puntiamo a un asse con chi invece ci snobba. È il quadro che emerge ripensando alla politica estera del governo gialloverde, e incrociandola con i dati sul nostro export nell’ultima analisi dell’Ufficio Studi di Sace sul mese di febbraio. Qual è infatti il primo di questi slogan? “L’Italia nell’Unione Europea è vittima delle prepotenze dell’asse franco-tedesco”. Però sono proprio Francia e Germania le migliori destinazioni per i nostri prodotti all'interno dell’Unione europea.
In particolare la Germania è citata come il paese dove cresce di più l’export del settore alimentare, che con il più 7,8 per cento rappresenta a sua volta l’industria italiana di cui sono cresciute di più le esportazioni. La Francia, paese con cui i gialloverdi hanno inscenato una crisi diplomatica senza precedenti che sfociò nel ritiro dell’ambasciatore a Roma, è invece, dopo la Cina e davanti alla Svizzera, il secondo paese dove più cresce il nostro export nel settore moda, che con il più 6,5 è il secondo per crescita. Qual è un altro slogan? “Nostri alleati sono i governi ‘sovranisti’ del Gruppo di Visegrad”. E sono proprio Polonia e Repubblica Ceca i due paesi dell’Unione europea dove si registra la delusione maggiore, dopo gli eccellenti risultati degli ultimi anni, si registra una frenata. Se in Polonia l’aumento era dell’8,3 per cento nel 2018, nel 2019 si prevede un più 6,8 per cento e più 6,6 nel 2020. Stesso trend decrescente in Repubblica Ceca con più 8,1 nel 2018, più 7,4 nel 2019 e più 7,1 nel 2020.
Un terzo caposaldo è puntare sulle occasioni offerte dalla politica di espansione commerciale voluta del governo di Pechino, la “Via della Seta”, stabilendo con un’intesa privilegiata. La società del gruppo Cassa depositi e prestiti specializzata nell’assicurazione e riassicurazione delle imprese italiane all’estero attesta che con la Cina c’è stato un aumento del 2,8 per cento delle esportazioni. Si tratta del secondo mercato per crescita nel settore tessile e abbigliamento. Ma non solo è poco, rispetto al più 14,7 per cento della Svizzera, al più 12,2 dell’India e al 10,5 del Giappone. La spiegazione secondo cui “è meglio delle attese” chiarisce che comunque dalla Cina non possiamo aspettarci più di tanto e che la retorica di Xi Jinping sull’apertura va più intesa nel senso di richiesta agli altri di aprirsi che in quello della disponibilità ad aprirsi da parte di Pechino. India e Giappone sono, poi, dopo gli Stati Uniti, i due mercati in cui più ha potuto espandersi la nostra meccanica strumentale. La meccanica strumentale è un settore dove il nostro export è cresciuto del 4,1 per cento.
Una quarta tentazione italiana è poi quella di un certo compiacimento per l’atteggiamento protezionista di Donald Trump. Questa vocazione andrebbe raffrontata con il più 19,3 per cento che ha registrato il nostro export verso gli Stati Uniti. In particolare col forte contributo della cantieristica, della meccanica strumentale e dell’industria farmaceutica. Se il sovranismo americano si scatenasse sul serio saremmo tra i più colpiti. Quinta tendenza, infine, è la simpatia per la Brexit: tra la partnership al Parlamento europeo del M5s con Nigel Farage e le simpatie euroscettiche anche della Lega. Ma proprio col Regno Unito il nostro export ha potuto crescere del 13,8 per cento.
È vero che, secondo la stessa analisi della Sace, questo trend “testimonia un effetto scorte in attesa degli sviluppi sul fronte della Brexit”. Ma, insomma, se e quando il Regno Unito sarà uscito dall’Unione europea per noi non sarà certo un affare. Neanche per gli elettori del M5s e della Lega. L’export italiano comunque tira. A febbraio è aumentato del 3,4 per cento rispetto allo stesso mese del 2018: un risultato che porta la media del primo bimestre a segnare un più 3,2 per cento. Come osserva Sace “si tratta di un segnale positivo per il Made in Italy, in considerazione della congiuntura europea e internazionale, in rallentamento rispetto all’anno precedente”. Anche se “in ogni caso, la natura parziale del dato impone cautela”. Il problema è per il comparto degli autoveicoli, calato del 10,9 per cento. Ma lì, si sa, la ritirata è globale.