“La stabilità politica è importante quanto la stabilità finanziaria”. Intervista a Tria
“Lo spread? Troppo alto. La crescita? E’ legata alla Germania. I tempi dei processi? Il governo si deve impegnare di più. La Tav? Mai bloccata. Alitalia? Lo stato può entrare con piani senza più perdite”. Chiacchierata con il ministro dell’Economia
La verità sulla crescita, la stabilità del governo, lo spread che spaventa, il futuro di Alitalia, la Tav che non si ferma e un indicatore utile per i prossimi mesi per capire davvero, nel bene e nel male, che impatto ha avuto il cambiamento sull’economia italiana. Abbiamo trascorso un’ora al primo piano del Mef con il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, un vecchio amico e collaboratore di questo giornale, e abbiamo provato a mettere a fuoco, in modo schietto e cordiale, alcuni temi importanti che riguardano quello che forse è il dossier cruciale per il destino della settima economia più importante del mondo: come si fa a riconquistare la fiducia?
La nostra lunga conversazione con Giovanni Tria parte dai dati degli ultimi giorni e in particolare dai numeri che hanno fatto tirare un sospiro di sollievo agli azionisti della maggioranza di governo: lo 0,2 per cento di crescita nel primo trimestre del 2019 e i buoni risultati sull’occupazione, con gli occupati a marzo aumentati di 60 mila unità rispetto a febbraio e di 114 mila unità rispetto a marzo dello scorso anno. Sono sufficienti questi dati, ministro, per tirare un sospiro di sollievo? “Bisogna essere onesti e osservare questi numeri in modo tranquillo, senza esagerazioni, così come andavano osservati in modo tranquillo, e senza isterie, i dati precedenti che indicavano una decrescita dello 0,1, ragione per cui tendevo a parlare più di stagnazione che di recessione. Ora: è chiaro che in Europa c’è stato un rallentamento molto forte. Io dico in Europa, nel senso che per vari motivi in questo rallentamento sono state coinvolte principalmente l’Italia e la Germania. L’Italia, come sappiamo, è molto legata al manifatturiero tedesco, questo ciclo influenza la nostra crescita e ora che il manifatturiero tedesco ha dato segnali di miglioramento l’Italia ha ripreso a camminare. Sappiamo che – purtroppo non da oggi – il nostro paese cresce sempre meno degli altri dell’Eurozona, circa l’un per cento in meno, ed è così più o meno da dieci anni. Probabilmente, non solo da parte nostra ma anche della Commissione europea, che a novembre stimava una crescita per l’Italia nel 2019 pari all’1,2 per cento, è stato sottovalutato il rallentamento del nostro paese anche a livello europeo, ma per tentare di trovare una sintesi ai dati di martedì scorso possiamo dire questo. Possiamo dire che non siamo in recessione. Possiamo dire che parte di questa crescita è un normale rimbalzo, il che significa che siamo nell’ambito, sia nella parte di segno negativo che nella parte di segno positivo, di andamenti congiunturali. Ma soprattutto possiamo dire che al di là delle congiunture l’economia italiana è solida, al netto delle nostre storiche debolezze strutturali che non sono scomparse perché nulla ancora le ha fatte scomparire. Si può approvare o non approvare il piano del governo ma nel bene e nel male non si può legare la crescita italiana a ciò che ha fatto l’esecutivo: è necessario aspettare che le nostre riforme abbiano effetto. In sintesi: l’idea che ci sia un crollo dell’Italia era sbagliata, non c’era nessun crollo dell’Italia, le previsioni del mercato del lavoro sono più positive di quelle che ci aspettavamo, e questo è un dato importante, e per quanto riguarda la composizione dello 0,2 di crescita penso sia corretto dire che la componente estera segnalata dall’Istat che avrebbe fatto ripartire il pil, cioè le esportazioni nette, non è legata solo all’export ma a un rallentamento delle importazioni”.
Ministro, ma allora nel bene o nel male quale sarebbe secondo lei il momento giusto per giudicare l’impatto avuto dal governo sull’economia italiana? “Io – insiste Tria – in generale dico che qualsiasi governo incide parzialmente sull’andamento dell’economia. Se i governi sono fortunati si trovano nel ciclo che cresce, se i governi non sono fortunati si trovano in un ciclo economico che decresce. Oggettivamente, l’influenza di un esecutivo sulla crescita, nel breve periodo, è molto limitata, soprattutto in un mondo in cui le economie sono fortemente interconnesse. I governi, naturalmente, possono avere un’incidenza sul medio e lungo periodo grazie alle riforme strutturali e agli investimenti pubblici e la ragione per cui spesso queste incidenze non vengono percepite è legata al fatto che l’Italia non ha una sua stabilità in termini di longevità dei governi. Ma se mi si chiede qual è un indicatore da osservare per capire in che modo il nostro governo sta incidendo sull’economia, ciò che va osservato prima di ogni altra cosa sarà la nostra capacità di sbloccare gli investimenti pubblici, che è una questione che non riguarda solo la congiuntura ma riguarda la capacità operativa di una amministrazione, e la nostra capacità di creare lavoro”.
“Le clausole di salvaguardia? Non aumenteremo il deficit, non aumenteremo le tasse, ma taglieremo le spese”
Facciamo notare al ministro Tria che però, in realtà, un governo può incidere in modo negativo o positivo sull’economia di un paese attraverso la creazione di maggiore fiducia o maggiore sfiducia e da questo punto di vista se mettiamo insieme gli alti rendimenti dei nostri titoli di stato e gli alti rendimenti delle obbligazioni possiamo dire che il segnale che arriva al governo è piuttosto chiaro: negli ultimi mesi qualcosa ha creato, ma quel qualcosa si chiama sfiducia.
“E’ corretto dire che un governo può incidere sulla fiducia di un paese. Così come è corretto dire che la fiducia e le aspettative sono forse le cose più importanti all’interno di un’economia. Perché le aspettative influiscono sulle previsioni e spesso diventano anche delle profezie che si autoavverano arrivando a influenzare i mercati anche quando non ce ne sarebbe ragione. Nello scorso anno è un fatto non contestabile che il clima di incertezza sia stato legato a un cambiamento di governo che è stato abbastanza radicale e a un governo nuovo che si preannunciava con una serie di riforme che venivano quantificate in cifre di spesa pubblica enormi e che poi però si sono tradotte in finanziamenti di spesa piuttosto limitati, più o meno dieci miliardi di euro in tutto, grosso modo quanto i famosi ottanta euro di Renzi. Ha pesato questo, ma ha pesato soprattutto l’incertezza che vi è stata sui mercati riguardo all’atteggiamento del governo rispetto all’Europa e all’Euro. Non che il governo abbia mai detto che sarebbe uscito dall’Euro o che si sarebbe staccato dall’Europa. Però è indubbio che in molti, in troppi, credevano che sarebbe stato possibile. Per questo, ripensando a quei giorni, dico che l’accordo fatto con la Commissione, e la nostra scelta di tornare indietro sul deficit programmato, che ha comportato per la maggioranza di governo un costo politico evidente, è stato importante, è stato come un nuovo inizio, perché ha permesso di dimostrare che questo governo vuole stare in Europa e non intende uscire dall’Euro. Detto questo, per tentare anche di migliorare la fiducia generata dall’Italia, sono importanti le misure presenti nei decreti approvati nelle ultime settimane: dallo sblocca cantieri al decreto crescita. In quei provvedimenti sono presenti alcune azioni che forse non si vedranno subito, mentre altre sì e sono certo che queste avranno un impatto sulla nostra economia. Esempio: i fondi per gli investimenti agli enti locali, che sono altri 500 milioni oltre ai 500 già stanziati nella legge di Bilancio, e posso dire che dai primi dati a nostra disposizione vediamo che qualcosa già si muove negli enti locali, dove sta riprendendo la spesa per investimenti. Sono decreti che vanno nella direzione di un sostegno alle imprese e agli enti privati. E questa per noi oggi è una priorità”.
Ministro, ma siamo sicuri che i problemi legati alla fiducia riguardino solo il passato? “Rispetto allo scorso anno lo spread è sceso di molto e sono convinto che scenderà ancora. E’ ovvio che negli ultimi mesi i dati riflettono una fase per fortuna terminata di recessione tecnica, un’incertezza sull’andamento dell’economia, un’incertezza legata alle elezioni europee, le voci sul governo se tiene oppure no e non c’è dubbio che la stabilità politica sia importante quanto la stabilità finanziaria, per i mercati. Però va anche detto che le ultime emissioni sono andate bene, che la domanda è stata molto alta, che i rendimenti sono in lieve calo, che anche nel periodo dell’incertezza dello scorso anno il costo medio dell’emissione del debito è stato poco più dell’uno per cento e che gli interessi medi sullo stock del debito continuano a scendere e saranno minori di quelli previsti nella legge di Stabilità”.
Lo spread è in leggera discesa, vero, e anche la Borsa ha ricominciato a correre dall’inizio dell’anno, ma si può davvero dire che sul lungo periodo sia sostenibile uno spread intorno a quota 250? “Io dico che lo spread oggi è troppo alto, anche rispetto a quello di economie più deboli della nostra come quella portoghese, e che questo numero non è giustificato dai fondamentali dell’economia italiana. Uno spread di questo tipo è naturalmente una palla al piede ma non ci sono problemi legati alla sostenibilità del nostro debito, all’Italia è già successo in passato di dover fare i conti con elevati interessi sui titoli di stato. Ciò che dovrebbe preoccupare rispetto a uno spread alto non è la drammatizzazione rispetto alle nostre condizioni finanziarie, ma è l’impatto che uno spread troppo alto potrebbe avere a lungo andare sulla crescita. Il tema è questo”.
Chiediamo a Tria se un altro tema da affrontare non riguardi il destino del deficit, che dal 2 per cento previsto nella legge di Stabilità è passato a un tendenziale di 2,4, cosa che potrebbe anche riaccendere gli occhi della Commissione europea sul nostro debito pubblico, ma il ministro dice di no e che su questo fronte i problemi non esistono: “Non è un problema perché noi puntiamo a rispettare il deficit strutturale. Puntiamo addirittura a migliorarlo dello 0,1. Non conta il 2,4 per cento nominale per il 2019. Ciò che conta è il profilo di aggiustamento del deficit e del debito nel prossimo triennio. E’ quello che ci siamo impegnati a fare con un programma credibile”.
Il ministro Tria sottolinea l’importanza del decreto sblocca cantieri. Ma non sarebbe più importante ancora avere uno sblocca governo per evitare che l’economia sia in ostaggio delle ideologie? “Sono d’accordo sul fatto che l’economia non vada legata all’ideologia, anche se le scelte economiche non possono che essere anche scelte politiche. Ma detto questo no: non sono convinto che il problema sia avere uno sblocca governo. Il problema, semmai riguarda la fiducia. Lasciamo perdere la Tav, dato che il dibattito c’è mentre la Tav non si è mai fermata, visto che c’è una legge che non è stata bloccata. Il problema sono le migliaia di cantieri bloccati da anni o mai aperti, pur in presenza dei finanziamenti. Credo sia importante sottolineare il modo in cui abbiamo modificato il codice degli appalti, che è stato corretto non quanto io avrei voluto, perché è noto che la mia idea era che si tornasse alla direttiva europea, ma che permetterà in ogni caso di far ripartire le opere pubbliche. Per onestà intellettuale la metterei così: il vero successo del governo dipenderà dal modo in cui riuscirà a far muovere le amministrazioni e far ripartire gli investimenti pubblici. E per misurare il risultato c’è un indicatore: la spesa per investimenti. A questo fine dobbiamo cambiare le norme farraginose e rafforzare le capacità tecniche di progettazione delle amministrazioni. Abbiamo fatto una prima ricognizione: ci sono 87 miliardi di fondi stanziati e non utilizzati”.
Rispetto alla questione dell’Iva, proviamo a chiarire come stanno le cose. Da accademico lei ha più volte detto che un aumento selettivo dell’Iva non sarebbe un problema. Ci può spiegare in che senso? “Parlo al di fuori dal programma di governo, perché come ministro porto avanti un programma deciso collettivamente. Innanzitutto dobbiamo distinguere l’obiettivo di pressione fiscale dalla composizione del prelievo fiscale. Ho sempre sostenuto che è meglio aumentare il prelievo sull’Iva per diminuire l’Irpef, il prelievo sui redditi. Tutti gli studi internazionali confermano che portare più pressione fiscale sull’Iva rispetto all’imposizione diretta è favorevole alla crescita. Si chiama svalutazione fiscale perché l’imposizione diretta entra nel salario. Uno calcola il salario al netto delle tasse quando contratta. Ma questa è un’operazione indipendente dalla pressione fiscale: significa che la pressione fiscale rimane uguale, e preleviamo più da una parte o dall’altra. In molti dicono che l’imposizione sull’Iva sia più regressiva, ma io non penso lo sia attualmente dato che la maggior parte delle tasse dirette vengono pagate dal lavoro dipendente. In periodi di bassissima inflazione, la traslazione dell’Iva sul prezzo finale è molto parziale e questo è stato dimostrato le ultime volte che è stata aumentata l’Iva. E a chi critica questa posizione dicendo che ‘se c’è un prelievo fiscale aggiuntivo dell’Iva si ha un effetto recessivo’ io dico che questa è un’ovvietà. Quello che bisogna capire è se il maggior prelievo è compensato dalla riduzione di altre tasse, oppure no. E’ chiaro che per raggiungere l’obiettivo di una minore pressione fiscale è necessario trovare risorse e dunque tagliare la spesa. Nel Def approvato dal governo è stato detto che si cercherà di evitare l’aumento dell’Iva pur nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Quindi tagliando la spesa. Non sappiamo ancora dove andremo a tagliare, e l’entità delle misure dipenderà da quale sarà la situazione economica”. Lei assicura che la pressione fiscale non aumenterà? “L’obiettivo è quello”.
Nella prossima manovra però il tema delle clausole di salvaguardia resta cruciale. Ci sono 53 miliardi da trovare nelle prossime due manovre. Se la pressione fiscale non aumenterà e se il deficit non lieviterà resta il taglio dello spesa. E’ questo l’obiettivo del governo? “Sì, l’obiettivo del governo è mantenere gli impegni presi insieme a una seria politica fiscale. Le due cose non sono in contraddizione”. Nella legge di Stabilità il governo ha promesso anche qualcosa di molto ambizioso: quindici miliardi all’anno ricavati dalle privatizzazioni. Sono passati quattro mesi, però, e nulla è stato fatto. “Queste sono operazioni che non si anticipano”. Giriamo al ministro un report interessante pubblicato pochi giorni da BofA Merrill Lynch, relativo ai risultati di un sondaggio condotto a livello globale e regionale tra i gestori di fondi. In un paragrafo del report si misura il sentiment degli investitori europei rispetto ai principali mercati azionari nazionali. E anche per questo mese l’Italia resta la nazione meno preferita dagli investitori – meno ancora della Gran Bretagna della Brexit – con un 30 per cento netto di intervistati che dichiara l’intenzione di voler ridurre la propria esposizione sul mercato azionario italiano nel corso dei prossimi dodici mesi. “Sono convinto che ciò che stiamo facendo permetterà di invertire il trend. Per farlo dobbiamo puntare su crescita, investimenti e stabilità. Il business environment lo si migliora così. E vedrete che con la crescita non esplosiva ma superiore al previsto verranno riequilibrate anche le aspettative”.
A proposito di business environment: possiamo dire che avere un paese che mostra poco interesse rispetto al dramma dei tempi lunghi della giustizia sia un disincentivo ulteriore per investire in Italia? “Certo che ha un effetto negativo. La lentezza della giustizia (soprattutto quella civile) è uno degli ostacoli agli investimenti diretti esteri e non. Gli studi degli ultimi anni dicono che uno dei problemi è la lentezza della giustizia civile. Ha un peso anche sul problema dei non-performing loans. Il governo sicuramente si deve impegnare di più su questo tema ma non è un problema che nasce oggi”.
Eliminare i tempi della prescrizione dà però l’impressione di volersi disinteressare al dramma dei tempi lunghi della giustizia. “La riforma sulla prescrizione riguarda più la giustizia penale. Possiamo dire che sì: la riforma del Codice civile dovrebbe andare un po’ più rapidamente. Ma non c’è dubbio: dobbiamo impegnarci molto su questo, era uno dei punti principali del programma di governo”. A proposito di percezione. Nel passato è stato detto più volte che in Italia ci sono sei milioni di poveri. Ma a giudicare dall’adesione al reddito di cittadinanza sembra che quei numeri siano diversi. Siamo più o meno alla metà di quel numero. Possiamo dire che i numeri sulla povertà in Italia sono stati piuttosto esagerati? “Questo non è un fatto nuovo, è successo anche quando c’era il reddito di inclusione. Abbiamo fatto delle stime per calcolare quanto dovesse costare questo reddito di cittadinanza e abbiamo calcolato che solo il 50 per cento degli aventi diritto aveva fatto domanda per il reddito di inclusione. Non so se fosse sbagliato il numero sugli aventi diritto. Ma è ancora presto per trarre conclusioni, dobbiamo aspettare e vedere”.
“La flat tax? Spero che ci sia nella prossima legge di Stabilità. E’ un problema di scelte politiche: se uno fa una cosa poi non fa altro”
E’ possibile immaginare che nell’Europa del futuro i governi sia populisti sia non populisti possano trovare una quadra per cambiare le regole del patto di stabilità, il Trattato di Maastricht e rivedere la regola del tre per cento? “La prima cosa da fare sarebbe correggere il Fiscal compact, che per me ha dato dei risultati disastrosi. Noi abbiamo delle politiche che sono strutturalmente deflattive, il che è completamente sbagliato. Dobbiamo guardare l’economia europea nel suo complesso. Se vogliamo che l’Italia riduca il suo debito è necessario che l’Europa faccia una politica di compensazione contraria. Non si può chiedere nello stesso momento a un paese di eliminare il deficit mentre tutti gli altri paesi adottano una politica restrittiva abbassando la domanda interna europea”. Ci sta dicendo che il Fiscal compact andrebbe eliminato direttamente? “Posso dire che è una regola che ha fatto il suo tempo. Il che non vuol dire che non servano regole fiscali. Ma servono regole fiscali migliori. E per renderle migliori servirebbe qualcuno in grado di fare una politica fiscale a livello europeo. Ma anche qui siamo molto indietro: senza una piena unione politica è molto difficile avere una piena unione economica”. Torniamo all’Italia e parliamo di futuro. Il suo governo parla spesso di flat tax progressiva. Ma la flat tax progressiva è un ossimoro. Ci può spiegare qual è la flat tax che il governo ha in mente? “La flat tax si può realizzare in vario modo. Con tassazioni negative, detrazioni, no tax area. Il punto è come farla”. E se farla. “Personalmente spero che ci sia nella prossima legge di Stabilità. Bisogna trovare lo spazio. E’ un problema sempre di scelte politiche: se uno fa una cosa poi non fa altro”.
A proposito di scelte: il ministro dell’Economia ritiene corretto ed equo gettare altri miliardi dei cittadini in una società come Alitalia tecnicamente fallita da decenni? “Io penso che per paesi importanti come l’Italia avere una compagnia italiana sia importante perché i collegamenti sono parte integrante del nostro sistema economico, fa parte della competitività di un paese. Il problema è avere un piano industriale serio. Può essere anche corretto che lo stato metta dei fondi per sostenere una società nuova. Il punto è avere una nuova società che non vada in perdita. E non solo perché sono soldi pubblici e non vanno buttati. Ma anche perché non serve mettere soldi in un’impresa che va in perdita e che tra un anno fallisce. Lo stato quindi può entrare a condizione che sia un progetto che non va in perdita. Secondo le regole europee deve essere una società che opera nelle regole di mercato. Anche una società al cento per cento dello stato deve operare sul mercato”. In conclusione, una critica che farebbe a chi critica il governo e una critica che farebbe al suo stesso governo. Tria ci pensa un attimo e chiede: “Posso fare la stessa critica?”. Prego. “C’è una difficoltà nella politica di guardare ai fatti e fare un dibattito onesto anche sui dati”. Cosa andrebbe fatto? “Non utilizzarli in modo drammatizzato in un senso o nell’altro. Perché dico questo? E’ chiaro che anche sull’economia c’è una lotta politica. Ma ci sono alcune questioni che bisognerebbe guardare con realismo senza danneggiare l’economia italiana. Non bisogna sempre profetizzare il disastro per danneggiare il governo perché quando lo si fa si danneggia l’economia italiana. Questa è la questione. E’ un vizio italiano. Andare a cercare la denigrazione dell’Italia per colpire il governo in carica. Io ho fiducia nella capacità dell’economia italiana perché abbiamo delle eccellenze. L’Italia è più forte di quello che vogliono far credere coloro che tifano contro l’Italia. Ma i dati per favore, da una parte e dall’altra, lasciamoli lì, parlano da soli, non c’è bisogno di strumentalizzare”.